I due volti di un 2015 chiuso col botto. L'arrivo di Mancini (il 14 Novembre 2014) segna una svolta definitiva. Il suo appeal e la sua caratura internazionale rappresentano la volontà di tornare a vincere da parte di una dirigenza nuova, intenzionata ad aprire un ciclo. Il tecnico prende in mano una squadra non sua, strutturata in antitesi con il suo credo calcistico, riportandola nelle zone di competenza in meno di un anno. Giocatori giovani, acerbi ma con tanto carattere, mixati con le acute scelte del mercato estivo fanno la differenza, grazie al tocco magico del buon Roberto. L'hashtag #BentornatoMancio, le sue telefonate assillanti e il suo carisma fanno il resto, per un 2016 tutto da vivere.
Tutte le storie (o almeno la maggior parte) hanno un lieto fine. La nostra è ben lontana dalla conclusione, ma forse ha già fatto contente milioni di persone. Già, perchè l'Inter di Mancini è ancora un cantiere aperto. Troppe volte, però, quest'espressione ha subito distorsioni e manipolazioni da parte degli addetti ai lavori. Dirigenti, in primis, ma anche allenatori e presidenti invocano progetti e piani che non hanno nè inizio nè fine. A rimetterci sono sempre i tifosi, ma questa volta, dopo cinque anni, dalle parti di Appiano il famoso progetto sembra esserci davvero.
Solidità, cinismo e concretezza. Sono queste le tre parole chiave della rinascita interista. Il presidente Thohir, in estate, ha lasciato carta bianca al proprio tecnico permettendogli di plasmare la squadra secondo criteri più che soggettivi. Telefonate, aste, sondaggi: tutto gestito in prima persona da Roberto Mancini, coadiuvato per forza di cose dalla mano esperta di Piero Ausilio. Anche il ds aveva voglia di rifarsi, dopo un'estate passata a correre dietro ai vari Dodò e M'Vila. Probabilmente neanche il più fanatico dei tifosi avrebbe profetizzato un traguardo simile sotto l'albero, ma il tecnico jesino ci aveva visto lungo e il suo pragmatismo sta facendo la differenza.
Campagna acquisti promossa a pieni voti: difesa restaurata (con gli innesti di Miranda, Murillo e il giovane Telles) centrocampo rinato con Felipe Melo e il paperone Kondogbia e un attacco da far paura con gli slavi (Ljajic e Jovetic) dietro capitan Icardi. Dopo un'estate di tira e molla, alla corte di Mancini arriva anche Perisic a rinforzare la batteria di trequartisti. La squadra si completa l'ultimo giorno di mercato (con l'arrivo last minute del serbo ex Roma) ed è pronta a partire.
Nel frattempo, vittoria all'ultimo respiro contro l'Atalanta (grazie ad una magia di Jo-Jo) e contro il Carpi di Castori, dopo una partita più che sofferta. Sono tre gol in due match per il montenegrino che viaggia a suon di prestazioni stratosferiche e si candida come trascinatore dell'Inter 2015/2016. Nonostante le dolorose cessioni (non per le tasche di Thohir), l'Inter viaggia a gonfie vele facendo pernacchie a coloro che rinfacciavano i derby persi ad agosto. Sembra tutta un'illusione, la travolgente Juve di Allegri (finalista di Champions qualche mese prima) cade nel baratro mentre l'Inter ingrana. E ingrana davvero: cinque vittorie di fila con il minimo scarto, sconfitto anche il Milan del temutissimo Bacca per 1-0 (decide Guarin). Già, l'1-0. E' un po' la massima con cui si può racchiudere l'essenza di questa squadra. Concretezza spaventosa, solidità dietro (con numeri da far impallidire la stagione precedente) e schiaffi ripetuti alle critiche degli esteti. Le vittorie con Chievo e Hellas sono lo specchio di tutto ciò. Prima Icardi e poi Felipe Melo regalano i tre punti, lanciando l'Inter in vetta alla classifica aspettando il big match contro i Viola di Sousa.
Partita strana, quella. La Fiorentina, dopo neanche un quarto d'ora, l'aveva già in pugno. Dopo mezz'ora viene espulso Miranda e l'incontro, di fatto, volge al termine. Il 9 viola venuto dall'est fa impazzire la squadra di Mancini siglando addirittura una tripletta. Il 9 viola è un certo Nikola Kalinic che all'età di trent'anni sta mostrando al mondo di che pasta è fatto.
Improvvisamente, la stagione dei nerazzurri cambia volto. Piovono, come al solito, critiche ingiuste. I media accusano Mancini e i suoi di essersi sciolti alle prime difficoltà. Ci sarà tempo e modo per far ricredere i detrattori. Fatto sta che il contraccolpo risulta fragoroso. La squadra perde certezze e cala fisicamente. Tre pareggi nelle successive tre. Sampdoria, Palermo e Juventus bloccano l'ex capolista. L'attacco non gira e la difesa inizia a perdere colpi, complice anche qualche espulsione di troppo. La vittoria col Bologna arriva come manna dal cielo, torna al gol Icardi (criticato dopo un periodo buio). Ljajic prende sicurezza e Perisic inizia a segnare. Jovetic, dopo un super avvio, si eclissa smettendo di essere decisivo. Mancini tira le somme guardando al match con la Roma come uno spartiacque più che una partita di cartello. Garcia fa paura e scende in campo con tutto il suo strapotere offensivo. Dzeko e Salah graziano San Siro, complice anche un SuperHandanovic. E allora chi la decide? Un protagonista del tutto inaspettato. Uno che non è mai al centro dei riflettori. Un uomo venuto dal Cile. Gary 'Pitbull' Medel, botta da fuori area e Szczesny battuto. L'Inter torna in testa, la Roma torna a perdere dopo cinque vittorie consecutive.
Torna il sereno ad Appiano Gentile, lo dimostra l'ottima prova di Torino. Qualche rischio proveniente dall'out di destra (Bruno Peres docet) ma Handanovic abbassa la saracinesca. E indovinate un po' qual'è il risultato? 1-0. Eroe di giornata: Geoffrey Kondogbia, tornato ad incidere dopo un inizio stagione non proprio esaltante. C'è euforia e i risultati sono lo specchio della compattezza del gruppo, cementato da scelte imprevedibili e formazioni speculari agli avversari. Ogni elemento è funzionale al progetto, lo dimostra il reintegro di Jonathan Biabiany, tornato (una volta per tutte) la scheggia dei tempi di Parma. Il francesino fa sfaceli sulla fascia lasciando il vuoto dietro di sè, entra addirittura nel tabellino dei marcatori nel match col Frosinone. A questo punto, però, arriva la partita madre. Forse quella della svolta (dal punto di vista del gioco), in cui l'Inter ha mostrato il vero volto di sè stessa. Al cospetto di un Napoli impressionante, i nerazzurri sembrano sciogliersi nel primo tempo, andando sotto dopo settanta secondi. La banda Mancini si ritrova addirittura in dieci prima dell'intervallo (espulso Nagatomo). Nella ripresa, la musica non cambia e il solito Higuain archivia la pratica con la doppietta personale. Ma quando tutto sembra già scritto, quando le forze vengono meno, l'Inter risorge. In dieci contro undici, i meneghini riaprono il match con un lampo di Ljajic e fanno venire più di un brivido a Sarri nei minuti finali. L'assalto di Miranda e compagni si infrange sul palo (e su Reina) regalando la vetta ai partenopei. I giornali, la mattina seguente, parleranno di sconfitta agrodolce e di 'vittoria nella sconfitta', forse non avevano tutti i torti. La banda Mancini esce a testa alta dal San Paolo, consapevole della propria forza. Lo dimostrano le vittorie successive, contro Genoa e Udinese. L'Inter, a Natale, sarà matematicamente in testa; anche in caso di sconfitta contro la Lazio di Pioli. Preludio nefasto, che puntualmente si concretizza. I nerazzurri affrontano l'ultimo match dell'anno con troppa sufficienza, forse imborghesiti dalle altitudini eccessive, impronosticabili a inizio stagione. Complice la doppia follia di Felipe Melo, Mancini perde la seconda gara casalinga. Non mancheranno veleni e diatribe interne nel dopopartita.
Ovviamente, l'opinione pubblica ha la memoria corta e non ricorda le ceneri da cui questa squadra è partita. Nessuno dovrebbe scordarlo, tecnico in primis. L'umiltà è la chiave del successo, perchè la vetta è a portata di mano ma il 2016 è tutto da scrivere.