Un vecchio adagio consiglia, specie nel calcio, di trovare nel minor tempo possibile una quadratura, di raccogliere indicazioni e idee e scegliere una strada da percorrere, senza voltarsi indietro. Solo con una fisionomia definita, scelte precise - in termini di uomini e modulo - si può affrontare una corsa da campionato.
L'Inter attuale capovolge le gerarchie, fa delle incertezze una forza, cambia e vince, facendosi beffe di pensieri e dogmi. Mancini è tecnico che ama stupire, ama l'eccesso. Porta, il Mancio, in panca quel che è stato da giocatore. Visionario con la "10", rivolta il gruppo che ha tra le mani, fantasista nel cucire e strappare il materiale che passa da Milano.
Scottato dalla scoppola viola, Mancini non si tira indietro, ripropone al cospetto del Torino l'audace difesa a tre, con Juan che accentra il suo raggio d'azione al fianco di Miranda e Murillo. Conferma per Nagatomo e D'Ambrosio: compito improbo, coprire l'intera corsia. L'Inter si schiera con il 3-5-2, speculare al Toro di Ventura, è faccia a faccia in ogni zona di campo.
Fuori chi più è in forma, il tuttocampista Brozovic, Jovetic, perfino Perisic. Rilancio per Palacio, mediana di lotta, con Melo, Medel e Kondogbia. Colpisce l'assenza di qualità, chi osserva da fuori storce quantomeno il naso, per i dettami iniziali dell'elegante Mancini. Una sorta di trincea, con ripartenze e spallate.
Perché combattere la nota apatia offensiva annullando di fatto il tasso tecnico della squadra? Perché infondere, nella marmorea linea a quattro, il tarlo dei movimenti a tre? Quesiti del mezzogiorno domenicale, al sole dell'Olimpico, un passo prima del fischio d'avvio. Il campo conferma le difficoltà dell'Inter, ma nobilita al medesimo tempo le scelte di Mancini. Per 45 minuti, lo spettacolo è poca cosa, ma il tabellone premia chi è ospite. Kondogbia sfrutta il piazzato e mette dentro. Liberazione. Un soffio forte a quella polvere da 30 milioni che appesantisce spalle e testa. L'Inter non spaventa quasi mai Padelli, ma è in testa e può conservare. Ora sì, quella mediana di colossi del ring può tornare utile. Palacio si sbatte, è il collante che attrae la linea d'attacco verso la mediana in fase di ripiegamento.
Non manca la comparsa sulla scena di Handanovic. Lo sloveno è il punto d'unione tra Roma e Torino. Chiude la porta, più volte nella ripresa, si esalta, quando i granata producono il massimo sforzo all'alba dei secondi 45. Due-tre parate in successione che inibiscono l'incedere di casa. Mancini scuote i suoi, è un film visto e rivisto. L'Inter balla, ma non cade, la base solida attutisce le altrui folate.
L'eterno dibattito tra bellezza e utilità cozza contro la forza dei numeri. Il tempo è dalla parte di Mancini, stregone che stringe un patto con il diavolo in nome della concretezza e del successo. 1-0, of course. Per i colpi alla Mancini, sul tavolo verde, questa volta non in panchina, occorre attendere, due settimane almeno. Frosinone e poi Napoli, quello sì tagliando da titolo.