La Juventus, l'Inter, un cerchio che si chiude a San Siro in una notte d'ottobre.

Felipe Melo gioca in Spagna nell'Almeria, alla sua porta bussa l'Italia. Firenze accoglie il ragazzo di Volta Redonda, con l'Inter un contatto, uno sguardo a distanza. L'apprezzamento di Mourinho non varca l'interesse. In viola, Melo mostra cuore e polmoni, centrocampista sanguigno di buona tecnica. La Juventus "rapisce" il brasiliano nel 2009 e affida a lui le chiavi del centrocampo. Rapporto lungo, calante nella seconda fase, quando a Torino si affaccia il Gala. Prestito in Turchia, poi la scommessa, vinta, del club guidato anche da Roberto Mancini.

Felipe Melo dimentica il bel paese, in Turchia è un semi-dio, il leader di un undici da battaglia. L'incrocio, creato ad arte dal destino, pone il duro Melo al cospetto della Signora. Rivincita dolce in una serata colorata d'Europa.

Nell'anno della ricostruzione, Mancini intuisce le carenze della sua mediana. Cerca un leader e ripensa a Felipe Melo. Al tavolo, con il Gala, è lotta serrata, come in campo. Melo vuole solo l'Inter, per colmare, anni dopo, una lacuna, il club vuole monetizzare, Mancini è pronto a carte false per ri-avere un suo pretoriano. Il sì al traguardo e da subito Felipe Melo diventa il grimaldello davanti alla retroguardia, l'uomo di forza e pensiero del rinnovato centrocampo.

All'alba della sfida più attesa, la certezza nel mezzo si chiama F.Melo, classe '83, una vita calcistica alle spalle, un sogno nerazzurro solo rimandato.

Queste le sue parole a Repubblica:

"Già sette anni fa potevo diventare un giocatore dell’Inter. Mi voleva Mourinho e io volevo lui. Finì che andai alla Fiorentina, poi alla Juventus e dopo al Galatasaray dove ho vinto moltissimo. Ma Dio mi voleva qui, si doveva chiudere un cerchio. La Juve è stato un errore, avrei fatto meglio ad andare all’Inter, così avrei vinto il Triplete. Una soddisfazione me la sono già tolta due anni fa, eliminando la Juventus in Champions con il Galatasaray. Ma tutto normale dai, era solo una partita. Anche domenica lo sarà. È un avversario che merita rispetto, non è per niente morto. Ma dobbiamo ricordarci che si gioca a San Siro, casa nostra: lì dobbiamo comandare noi".