Classe '74, un passato glorioso tra Arsenal, Celta, Barcellona - il punto più alto della carriera - e Manchester City, prima gli inizi, a casa, nel Corinthians. Ora, a quasi 41 anni, con gli scarpini ben riposti, una vita diversa, sempre sul campo, al fianco di Roberto Mancini. Silvinho si cala in un ruolo complicato, al fianco del tecnico di Jesi. Il secondo, forse qualcosa di più, perché tra Mancini e Silvinho il rapporto è stretto, si parlano, si confrontano, durante la partita, in allenamento, è un continuo scambio di opinioni, alla ricerca della ricetta giusta per coltivare l'Inter, portarla a una crescita definitiva.
Il primo passo è forse il più difficile. Silvinho e Mancini provano a convincere l'Inter di essere grande, serve una mentalità differente. Le grandi squadre non sbagliano, non concedono, anzi impongono. Spesso si vede l'Inter non demeritare, ma al netto raccogliere quasi nulla, perché nei 90 minuti c'è sempre un momento di appannamento, un attimo in cui la spina si stacca e puntuale arriva il colpo al mento. Si lavora qui, ogni giorno, per imporre nella testa dei giocatori l'importanza della singola partita, aldilà dell'avversario.
"Qui c’è grande qualità umana e tecnica. Bisogna lavorare grado per grado e far capire ai giocatori che devono imparare a lavorare per stare sempre al massimo livello. Ovvero? Pensare che si gioca sempre un match di Champions: quando giochi lì, un errore è gol. Ecco, questa squadra deve avere la mentalità votata a questo concetto: zero margini di errore. Quanto ci vorrà a questa squadra per arrivare in Champions? Un anno, massimo due...".
"Il giorno dopo il k.o. con la Samp, noi dello staff ci siamo presentati tutti con il sorriso sulle labbra. Siamo i punti di riferimento della squadra e non possono vederci abbattuti".
L'allenatore perfetto. Silvinho plasma la figura ideale, scegliendo dal passato il meglio, 4 allenatori, con caratteristiche diverse, ognuno con peculiarità importanti. "Dovrebbe essere un padre come Rijkaard; avere la cura maniacale nella preparazione delle partite di Guardiola, uno che se stava ore a studiare avversari e contromosse; l’intelligenza gestionale di Wenger; l’intensità dinamica di Mancini. Roberto ogni tanto diventa matto se vede che qualcosa non migliora".
Il rapporto con i giocatori "Mi sento ancora un giocatore, so come ragionano. I giocatori non ti ingannano. Ascolto i problemi, cerco di risolverli".
Infine il mondo Inter "Sto benissimo, si fa un gran bel lavoro, mi sembra di essere tornato al '99, quando dal Brasile passai all'Arsenal di Wenger. Un'esperienza bella, diversa, nuova, forte. E Mancini insegna tantissimo".
Fonte Gazzetta dello Sport