Il sorriso di Roberto Mancini, abbattuto, involontariamente, da Marco Andreolli è il momento più bello della domenica nerazzurra. C'è in quella spontanea reazione del tecnico un'esaltazione della tranquillità che percorre l'ambiente dall'approdo del Mancio a Milano. La squadra, non più erosa dalla tensione, esprime un'idea di calcio e lo fa con la convinzione di poter giocare e vincere di fronte a qualsiasi avversario.

Mentalità positiva, questo il primo merito del Mancini-bis. Giunto alla Pinetina in un momento di profonda depressione, con alle porte un calendario durissimo - Milan, Roma, Lazio e Juve, nel giro di poche settimane - il tecnico lavora inizialmente sulla testa di giocatori titubanti, insicuri. Il risultato è lampante, l'Inter oggi sbaglia, normale, ma non per questo si chiude, è capace di produrre una reazione forte, anche a Torino, anche con la Juve. 

Poi c'è il campo e qui un altro miracolo. L'impronta offensiva è limpida. Si scende in campo per segnare, più degli altri. L'ultima Inter è un festival di piedi buoni, uomini d'attacco. Due esterni come Palacio e Podolski, due punte aggiunte, in mezzo all'area Icardi, sulla trequarti Hernanes. Il capolavoro vero è però in mediana. Nel duo davanti alla difesa, con lo scudiero Medel, non Kuzmanovic, regista in grado di garantire equilibrio, ma Guarin. La rinascita del colombiano è il colpo grosso di Mancini. In un ruolo delicato, in una posizione che richiede continuità e concentrazione, Guarin decolla. Sostanza, forza, ripartenze, strappi, qualche svista, accettabile. 

L'idea nasce nel finale in rimonta con la Juve, quando Mancini lancia Podolski e abbassa Guarin. Lì il Guaro diventa padrone dello Stadium, zittisce Pogba, ringhia su tutti. A San Siro la replica e l'Inter, pronta a rifiutare le offerte della Liga, coccola un talento spesso difficile da decifrare. Potenziale non discusso, vuoti preoccupanti. Un nuovo acquisto Guarin, in una squadra pronta a riabbracciare Kovacic, dopo la squalifica, e il vero Shaqiri. 

Le note liete non terminano qui, perché dietro impera Vidic. Come facilmente pronosticabile, il passaggio a quattro giova al colosso serbo. Indicazioni, leadership, senso della posizione. Un totem, un punto di riferimento, per Andreolli e per i compagni. Vidic ordina e guida, segna anche, si mette al centro e il pubblico gradisce non poco. Viste le incertezze di Ranocchia e Juan, una candidatura forte, da non sottovalutare. Un campione resta tale e Vidic campione lo è, aldilà di singoli errori. 

Il calendario, prima nemico, ora lancia un salvagente all'Inter, la lotta per la terza piazza è riaperta e gli investimenti chiamano la qualificazione Champions. Mancini conosce il futuro, non può fallire l'aggancio. L'Inter ci crede, è un'altra Inter.