Sotto la pioggia battente di Roma, che si porta via un Novembre in cui, più che nerazzurre, l'Inter si è regalata delle tinte grigie, di quel grigiore sottolineato da una situazione di classifica che, a predirla quattro anni fa, sarebbe parsa follia; quando i nerazzurri, all'Olimpico vincevano la coppa Italia, con Milito giustiziere dei giallorossi, che dovettero capitolare davanti a cotanto potere. I ricordi di mourinhana memoria, oggi sbiaditi quanto le vesti dei meneghini, legati ancora oggi al fattore M. Perché dopo la M di Mazzarri, che attirava più fischi che elogi, arriva quella di Mancini, che torna alla Pinetina per una "mission impossible" che nemmeno Brian De Palma avrebbe potuto immaginare.
Pronti via, e il Mancio ( che di sicuro non ha la bacchetta magica) torna ad ammirare le coreografie del derby, quella sfida che non può valere quanto le altre, perché il derby è sempre il derby, e chi se ne importa se prima decideva le sorti del campionato e adesso conserva un semplice valore nominale.
Il tocco del marchigiano si vede immediatamente, l'Inter è volenterosa e a tratti propositiva, non più attendista e speculatrice, ed il pari, nella stracittadina, mette d'accordo le due nobili decadute del nostro calcio. È una squadra capace pure di reagire quella di Mancini, che incrocia gli ucraini del Dnipro, e rimonta uno svantaggio casalingo trasformandolo in una candelina tra le cinquanta spente dal Mancio proprio in quella data, grazie al solito Handanovic, che a proposito, ad oggi, è l'unico, vero, "top player" della pazza cordata.
Poi arriva la trasferta di Roma, seicento chilometri, che al loro estremo piazzano davanti ai nerazzurri proprio quel muro giallorosso sul quale la benamata sbatte violentemente, perché a questa Inter i tre risultati utili consecutivi sembrano proprio non piacere, o forse, indipendentemente dal cambio di allenatore, la trasferta romana serve alla squadra di Mancini per ricordarsi di tutti i propri limiti. Perché se un tempo su quelle casacche campeggiavano i nomi di Eto'o, Milito, Sneijder, senza scomodare divinità del calcio come Mazzola, Suarez, Ronaldo o Matthaus, oggi, si vedono i nomi di tanti giovani di belle speranze, spesso tradite più del dovuto. E allora, se Palacio è solo un omonimo di quello "vero", ammirato nelle scorse stagioni, è altrettanto vero che Kovacic ed Hernanes vanno a corrente alternata, regalando magie, per poi scomparire dal gioco, e se Icardi non è poi risultato quel bomber che tutti sognavano, Osvaldo quando è chiamato in causa fa spesso la cosa giusta, ma di sicuro, non può cambiare le sorti di questa squadra.
Infine, c'è quella difesa, che, proposta in tutte le salse, fa acqua da tutte le parti, contando 19 gol al passivo e tanto imbarazzo. Quanto basta per occupare oggi l'undicesima casella di una classifica impietosa, a sei punti dalla zona Champions e a sette da quella retrocessione, con un nuovo-vecchio allenatore che ha rivitalizzato il gioco ma non gli interpreti. I saldi invernali si avvicinano, e, con buona pace del FairPlay finanziario UEFA, il pacioso babbo Natale indonesiano dovrà leggere le letterine dei tifosi e metter qualche regalo sotto l'albero, per rimediare, almeno in parte, ad una stagione che sa già di fallimento.
C'era una volta l'Inter, e chissà, quando la rivedremo...