Il cambiamento lascia sempre una sorta di rimpianto. Si è sempre restii ad accettare addii dolorosi, seppur giusti. L'Inter, travolta dal ciclone della rivoluzione, vede bandiere ammainarsi con frequenza non abituale. Una sorta di de-argentinizzazione. Quattro dei fautori del ciclo nerazzurro pronti all'addio. Dopo la lettera toccante di Javier Zanetti, comparsa sul sito ufficiale della società, arrivano le parole di Walter Samuel, che, in un'intervista a Repubblica, ripercorre la cavalcata con la maglia dell'Inter, prima dell'addio per un ritorno in patria o perché no per una nuova scommessa a Firenze. 

Nel finale, a Verona, Cambiasso, Zanetti e Milito hanno chiamato anche Walter, ragazzo solitamente schivo fuori dal campo, quanto leader sul terreno di gioco, per il giusto commiato. E Samuel si è aggregato, osannato come gli altri, forse di più. Professionista esemplare, campione vero, fermato solo da qualche fastidio muscolare di troppo.

Dalla Bombonera a San Siro, la magia di un mondo che, seppur talvolta vittima di se stesso, resta stracolmo di bellezza "La Bombonera era lo stadio dei sogni di bambino, e col Boca ho vinto tutto. Nei derby col River sentivi il campo tremare, ma sul serio, l'emozione prendeva alla gola. Poi lo scudetto a Roma, il Real, infine nove indimenticabili anni in nerazzurro: col passare del tempo vedevo che negli occhi degli avversari cresceva il rispetto, il timore, perché arrivavamo noi. Che orgoglio. E le vittorie, tutte, di una squadra matta, ogni partita era sempre aperta fino all'ultimo: mai stati capaci di chiuderne davvero una, noi. E l'atmosfera di San Siro non me la scorderò finché campo. È stato bello. Anche finire adesso, al momento giusto".

L'emozione, le abitudini di un tempo, la storia che si interrompe "Ma no, solo molta emozione. Prima di Inter-Lazio l'ho sentita. Si è chiusa una parentesi di vita. Da mesi dicevo ai compagni e al mister che volevo lasciare l'Inter in Europa: vado via felice. È anche giusto che il nuovo presidente porti idee nuove, manager e giocatori nuovi: fa bene. La famiglia della Pinetina. E il rito del mate, che per noi argentini è un momento di condivisione: io ho sempre preparato l'infuso, sono il "cebador", fin da ragazzo è la mia specialità e i compagni mi hanno preso per il loro cameriere... Ma mi piace così. È stata una grande storia di vita ed è durata tanto, forse siamo stati qui troppo, almeno per le abitudini dei calciatori. Lascio una squadra solida in difesa: Rolando, Juan Jesus e Ranocchia sono bravissimi, Vidic anche".

L'arte della difesa, i maestri di un ruolo "Ho sempre odiato prendere gol, anche in allenamento. Mai abituato all'idea, non ci riesco. Detesto vedere la palla che entra nella mia porta. Me lo ha insegnato Carlos Bianchi, il mio primo maestro. Poi Marcelo Bielsa, che ci allenava sui movimenti difensivi come nessuno".

Nessun dubbio sul miglior match disputato. Non la notte di Madrid, ma la sfida contro i marziani. La sera in cui l'invincibile Barcellona cadde a Milano "A Barcellona, semifinale Champions 2010: meglio della finale".

L'omaggio a un grande del calcio italiano, per Samuel il migliore al mondo "Paolo Maldini. Impressionante, in tutti i ruoli difensivi. E veloce come un ragazzino anche da anziano. Era proprio bello da veder giocare, Paolo".

Il futuro e la voglia di non chiudere qui "Vorrei giocare un altro anno, anche non in Italia, perché mi sento bene. Poi capire se posso diventare un allenatore, iniziando dai ragazzini. Modulo preferito il 4-2-3-1, con le ali e il gioco rapido. Odio prendere gol, ma mi è sempre piaciuto vederli segnare. Dalla mia squadra, però".