Nemmeno l'atmosfera della grande occasione, il palcoscenico più atteso. Non è bastato il fattore mentale ad annullare un divario ben rappresentato dalla distanza in classifica. Anzi, proprio quel divario si è ampliato, da solco a voragine nell'immagine dello Stadium. Istantanee che raccontano di un gruppo senza anima, ferocia, voglia. Un disordinato insieme di ragazzi persi nel vortice della sconfitta. Quella che doveva essere la serata dell'orgoglio, si è trasformata nell'ennesima prova senza mordente. Che la Juve sia più forte non è novità di oggi. Che abbia più fame, questo sì è meno tollerabile. L'Inter, obbligata a ripartire, è scesa in campo battuta. Agnello sacrificale all'altare di Conte, con lo smacco di vedere Mirko Vucinic in campo, a pochi minuti dal termine. Lui nerazzurro mancato, a saltare e festeggiare con la Vecchia Signora.

 

Tre gol e potevano essere di più. Lo ha detto Conte, lo hanno pensato un po' tutti. A poco è valso presentarsi a Torino coperti, col solo Palacio davanti. Se con una punta, non si riesce a limitare lo sfogo di ogni trama bianconera, Pirlo, diventa tutto più difficile. Se lasci agli artisti il libero arbitrio, sei destinato a soffrire. Da lì nasce il vantaggio di casa. Da una visione di un genio senza tempo. Il resto è completato da Nagatomo e Kovacic, che perdono Lichtsteiner e fanno rabbrividire Handanovic, baluardo, oltre i limiti. Pensi al peggio, ma non è così. Non c'è fine alla notte orribile della retroguardia nerazzurra. Il giapponese, con fascia da capitano, rilancia, morbidamente, un pallone che indomabile spiove nell'area nerazzurra, favorendo lo strapotere fisico di Pogba e la grinta di Chiellini. L'ultimo sigillo è segnato dalla pessima marcatura di Juan, frenetico e sempre oltre il confine del saggio centrale, e dall'inserimento di Vidal.

 

Dice un vecchio adagio, che sul pallone prima arriva chi più vuole. La sete di vittoria appartiene alla Juve, creata ad arte da Conte, non ancora all'Inter. La mini scossa Mazzarri la trova con D'Ambrosio e Botta. Poca cosa, ma una rarità. La voglia di andare a prendersi palla e responsabilità. Jonathan e Alvarez paiono leoni ammansiti. Dopo l'esplosione di inizio anno, il ritorno nel guscio. Un ritorno al passato. Palacio è la fotografia dell'Inter. Spremuto oltre ogni limite, non vede più la porta. Corre, sempre, ma al dunque divora tre gol, come mai in passato. Milito è il cuore, affannato. Recupera addirittura su Tevez, per dare esempio e indirizzo, ma davanti stenta, si muove goffamente, guarda malinconico la carta d'identità. Kovacic non illumina. Sballottato in ogni dove, da regista a mezzala, fino a trequartista anti-Pirlo, non trova l'interruttore. A vent'anni per quanto forte tu sia, hai bisogno di ambiente e squadra. In un regime controllato, in un organico con certezze e spirito, emergere è più facile.

 

Mazzarri ora pensa al Sassuolo. Ultima spiaggia, l'ennesima. Qualcosa cambierà. Certamente Hernanes, forse Icardi e Guarin. Aspettando l'esperienza di Cambiasso, perché non rilanciare Samuel? Non è stata la stagione dell'argentino finora, ma a questo gruppo manca un leader e il Muro, seppur incrinato, è sempre solido. Difficile pensare in grande con una mediana composta da Taider – Kuzmanovic – Kovacic. Difficile pensare soprattutto che sia costata più di quella bianconera Vidal – Pirlo – Pogba. Riflettere è d'obbligo, come non caricare di colpe un allenatore che costretto a fare con quel che ha, cerca di raddrizzare la barca. Lavorando sulla testa, perché la rosa, perlomeno fino a giugno, non cambierà più.