Chissà cosa penserà Stramaccioni. Salito al banco degli imputati lo scorso anno, cacciato a fine stagione con l'etichetta di navigatore inesperto, ora osserva l'Inter che tra contraddizioni e problemi saluta la Coppa e annaspa in campionato. Più o meno nello stesso periodo il biscione nerazzurro ammaina l'ascia di guerra e si pone al cospetto di interrogativi senza risposta. Era novembre, quando l'esuberante Strama violò lo Stadium e illuse pubblico e addetti ai lavori. Fino a qualche mese fa, anche Mazzarri aveva stupito, con un filotto di vittorie che aveva creato un'aura europea attorno alla squadra, se non ambizioni da titolo. Il campo però è un giudice severo. La Serie A un cammino lungo. E alla lunga i valori escono prepotenti per quel che in realtà sono. La rosa è povera, mal assortita e stanca. Non dipende da chi si pone al timone, ma da chi calca il prato verde. Certo, maggiori o minori motivazioni, scelte più o meno oculate incidono, ma non decidono.
Al termine della sconfitta del Friuli, determinata da un primo tempo apatico, assente, Mazzarri è stato sottoposto a forti critiche per aver schierato una formazione imbottita di riserve, in una competizione che poteva essere salvagente di una stagione pericolosamente sul crinale del fallimento. A otto punti dal treno Champions, la Coppa Italia poteva rappresentare una vetrina importante, per guadagno e bacheca. Tutto vero, ma le parole del tecnico, al triplice fischio di Calvarese, spiegano bene la situazione di casa Inter. La difesa ha visto il rientro di Samuel, fondamentale per dare sicurezza al reparto, e la presenza di Campagnaro, un titolarissimo, rimasto a riposo, per squalifica, contro la Lazio. Molto turnover in mediana, ma Jonathan aveva bisogno di riposo, e, al centro, Kuzmanovic aveva lanciato segnali incoraggianti. Anche ieri sera, senza strafare, il serbo ha mostrato voglia e spirito. Guarin è uomo mercato, in attesa del Chelsea. Kovacic il talento intorno a cui costruire la prossima Inter. Entrambi erano sul terreno di gioco. Davanti Milito, non Palacio. Il Trenza ha palesato un affanno importante nelle ultime uscite. Da settembre regge il peso dell'attacco, da solo. Un tempo, seduto, era d'obbligo.
Al netto delle scelte, gli errori di Mazzarri sono, se presenti, marginali. Magari si può imputare all'ex Napoli il brutto approccio della squadra, che, ancora una volta, ha mostrato segni di reazione dopo lo schiaffo subito. L'arrembaggio della ripresa è stato figlio dell'orgoglio. Confusione e guerra fisica, più che precisa identità di gioco. I primi quarantacinque minuti, con Kovacic ammassato vicino a Milito, senza Alvarez, hanno messo in scena uno spettacolo poco piacevole. Lentezza e scarse idee. Uno stantio possesso palla davanti a Carrizo, col rischio di innescare la velocità di Nico Lopez, Widmer e Maicosuel. Con le due punte è cambiata la storia. Mazzarri lo sa, ma non poteva rischiarle dall'inizio, perché senza Icardi, fermo per la pubalgia di ritorno, con Belfodil pronto a chiudere le valigie, non aveva alternative. La nota lieta è Milito, che, perlomeno nella testa, è già Milito. Urla, sbraita, sbuffa, scuote i compagni. Emblematico l'urlo a Mudungayi in barriera. Campione, sempre. Gioca 90 minuti, gettando nella mischia quello che ha. Manca lo spunto, la zampata, come è normale che sia. Ma le fortune del girone di ritorno passano dai piedi del ragazzo del Bernal.
Milito e poco altro, perché le seconde linee steccano tutte. Desta compassione vedere Zanetti travolto da Gabriel Silva. Anche per le leggende arriva il momento dell'addio. Con Pereira pronto per l'Olympique Marsiglia, Wallace in procinto di rientrare a casa Chelsea, quanto sarebbe servito aver già a disposizione D'Ambrosio. Guarin resta “bestia” indecifrabile. L'età della crescita è passata da tempo, eppure resta nel limbo, che divide la mediocrità dalla grandezza. L'ingaggio faraonico sembra bloccarne l'approdo a Stamford Bridge. Che Mourinho abbia capito quanto l'incostanza sia caratteristica insita nel colombiano?
Doveva essere la partita di Kovacic. Bocciato, ha lasciato i minuti finali a Ruben Botta, mancino di talento, ma appena rientrato da un brutto infortunio. Mateo ha acceso una luce intermittente, quando esentato da compiti prettamente offensivi, ha potuto svariare, con libertà, in mediana. Troppo poco, per possibilità e attesa.
Ora arriva il Chievo, per l'ultima del girone d'andata. Oggi l'Inter è fuori da tutto. Salutata la Coppa Italia, gli occhi volgono al campionato. Sesta, un passo dietro al Verona, guarderebbe dal televisore anche l'Europa League del prossimo anno. Thohir è attento al bilancio, ma il bilancio come prenderebbe un'altra stagione senza introiti oltre il suolo italico?
Le grandi si rinforzano, senza vendere. L'Inter attende. Occasioni, magari. Merce rara, soprattutto in periodo di riparazione. Plausibile in una fase come questa. Resta da scartare la caramella dell'illusione per assaporare la luce della chiarezza. La Milano nerazzurra pretende parole importanti. Che sia la stagione della ricostruzione è chiaro a tutti. Un percorso, iniziato nel 2010, destinato a terminare quest'anno. Allora niente alibi, via la maschera. Si punta a ripartire, senza pretese, senza alimentare illusioni Champions, senza addossare responsabilità a Mazzarri, che, nell'oceano della mediocrità, è costretto a chiedere aiuto al vecchio Milito e all'acciaccato Samuel, due gocce di speranza nel mare di difficoltà nerazzurre.