L'Inter è stata, e in parte sarà sempre, affar dei Moratti. Affar di cuore, prima di tutto. Il senso di appartenenza al club, anteposto al valore economico. Fonte, questo nodo indissolubile, di dubbi, errori, ma anche successi. Una creatura nerazzurra che ha portato a innamoramenti lampo, figli di accecanti bagliori, ma talvolta a storie infinite e irripetibili, come il triplete. L'addio di Massimo, costretto dai tempi e dalla voglia di rilancio del marchio Inter, non ha segnato la fine dell'epoca morattiana, perché al fianco di Thohir, alla poltrona di vicepresidente, si è issato Angelomario, figlio dell'ex patron. É lui, in un'intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport, a raccontare il passaggio di proprietà, difficile, pieno di incertezze e sospetti, l'avvento del magnate indonesiano, il futuro del club, con l'esigenza di bilanciare costi e proclami.

 

Impossibile non partire dalla scelta del padre di privarsi di una società sua per 18 lunghi anni. L'apice nel 2010, nella notte di Madrid. Lì si è chiuso il cerchio di Moratti. Gli anni seguenti, all'insegna del fair play finanziario, hanno ridimensionato la corazzata nerazzurra, fino all'inevitabile separazione per internazionalizzare il club. La ricerca ha portato a Thohir, uomo di sport, soprattutto di business. “La filosofia di mio padre non è mai cambiata: una porta sempre aperta, mai un senso di proprietà totale dell'Inter. Non possesso, semmai responsabilità. Il legame che c'è sempre stato fra noi e la squadra è unico. Non ci si può aspettare, e anzi sarebbe ingiusto nei confronti dei nuovi soci, che possa essere ricalcato. Troppa responsabilità? Sicuramente la stessa che ha portato mio padre a ritenere che il suo mecenatismo senza alcun ritorno, sia a livello di immagine che di investimenti, fosse ormai inattuale. In prospettiva addirittura pericoloso per la società stessa. La prima a rischiare di rimetterci, quando la famiglia per qualunque ragione avesse deciso di smettere di investire. Al di là dei dispiaceri personali, davanti a tutto c'è sempre stato il bene dell'Inter. Scegliere un modello completamente diverso poteva essere un cambiamento realizzabile anche al nostro interno, ma si sarebbe dovuta cambiare la natura della nostra natura: il fatto di essere così interisti, tifosi in maniera così viscerale, di fatto non avrebbe permesso i cambiamenti necessari”.

 

La clausola voluta fortemente da Moratti, la possibilità di riprendersi l'Inter e le paure dei tifosi. Thohir, il potente giunto per trascinare l'Inter al top d'Europa o il ricco di turno che ha scelto Milano per ingigantire il suo ingente patrimonio? “I tifosi tendono sempre a dire cose che fanno piacere a chi se le sente dire, dunque - L'Inter sarà sempre dei Moratti – Ma è importante che non sia così, che l'Inter sia indipendente da un investitore unico, che sia solida di suo. Questo senza perdere la sua natura, ma facendo sì che non sia più legata esclusivamente all'amore di una famiglia. Quella del calcio italiano non è una semplice decadenza, è una crisi profonda: il tonfo c'è già stato ed è molto difficilie per chiunque aver voglia di scommettere su un mondo che non ha saputo dar garanzie. Aggrapparsi ai modelli passati sarebbe irresponsabile. Creare un modello diverso di efficienza è l'unica strada. É importante immaginare che si possa lavorare con grande unione di intenti e che il progetto che abbiamo concordato inizi a realizzarsi. Non sarebbe inconcepibile pensare di uscire dall'Inter, ma Thohir e i suoi soci ci chiedono esattamente il contrario e quello che sentiamo al momento, al di là di clausole e quote, è una grande sintonia. All'Inter si respira ancora la presenza della mia famiglia. É stato chiesto a entrambi, a me e a mio padre, di essere Presidenti, ma la risposta è stata no fin da subito. Era una questione di chiarezza verso l'esterno”.

 

Ovvio il cambio di rotta. L'ingresso di Thohir significa intendere il calcio in altro modo. Non solo il fascino del campo, della partita, ma l'importanza di quanto ruota attorno al mondo del pallone, che è poi quello che permette al club di sopravvivere, di vincere. La questione stadio, la riduzione del monte ingaggi, l'obbligo di accrescere ricavi finora bassi. “Il valore aggiunto di Thohir può consistere nel suo essere altro rispetto al passato, così da poterlo affrontare e vivere con più lucidità. Nessuno sarà giudicato a priori, ma solo attraverso il suo lavoro. Sono dieci anni che lavoriamo sullo stadio e abbiamo già dei piani pronti, ma questo è il momento di aspettare: di assestarsi, migliorando San Siro. Però resto dell'idea che l'Inter debba avere una sua casa, che il tifoso debba entrare allo stadio come se fosse casa sua e che la casa dell'Inter difficilmente possa essere San Siro risistemato: è una struttura poco rinnovabile e sarebbe comunque da condividere. Anche in questo c'è stata sintonia con Thohir: non è una priorità immediata, tutto andrà fatto con i tempi giusti.” Semplice, essenziale il motto dell'indonesiano, condiviso da Angelomario “We work together, lavoriamo insieme”.

 

Dalla società al campo. Da Thohir a Mazzarri fino al mercato e ai reali obbiettivi. “Mazzarri è focalizzato totalmente su quello che fa, questo ci ha convinto a progettare con lui un ciclo che possa durare il più a lungo possibile. L'obiettivo è essere competitivi senza dover pensare per forza allo scudetto. Però parlare di anno zero può essere fuorviante: puntare in alto è un dovere, anche per motivare nel modo giusto la squadra. Ma è un dovere anche parlarne chiaramente ai tifosi: l'aspettativa è tornare ai nostri livelli, ma con tempi e una progettualità diversa, che dunque abbia uno sviluppo negli anni e non a breve termine. E per esigere pazienza bisogna comunicare in modo chiaro: questo è quello che ha chiesto Mazzarri. Possiamo arrivare in Champions, l'Inter deve volare alto. Fondamentale è averla come aspirazione, ed è un'aspirazione legittima: se non dovessimo arrivarci non sarà una condanna per nessuno. Per il mercato rispondono gli uomini mercato. Guarin è un potenziale grande giocatore, che deve capire la responsabilità di caricarsi sulle spalle i compagni, come ha fatto a Napoli e nel derby. É importante che la squadra segua l'allenatore e che l'allenatore confidi nei giocatori che ha: è su queste basi che verranno fatte le prossime scelte di mercato".