"Sono sempre in partita, io. Non stacco mai. Il cervello va ogni volta lì, sulla squadra. So che è difficile starmi vicino. Mi consigliano di distrarmi ma niente, non ci riesco. Vedo un film in tv e all'improvviso la mente corre via, mi perdo le battute degli attori, non capisco più nulla. Devo vedere solo cose registrate, così spingo sul pulsante dello stop quando voglio". Apre così, Walter Mazzarri, in una lunga intervista rilasciata al quotidiano Repubblica, in cui il tecnico dell'Inter parla a 360 gradi della sua vita calcistica, una vita che molti potrebbero giudicare "infernale".

IL CALCIO COME RAGIONE DI VITA

Mazzarri spiega che la sua vita non è affatto "infernale" e che invece, lo si capisce, per lui il calcio è solo una ragione di vita: "E' il mio modo di essere, mi viene naturale ed è parte di me. So fare l'allenatore solo così, altrimenti sto fermo che è meglio. Il momento più terribile sono quei venti minuti di riscaldamento prima della partita: io lì a pensare cosa potrà succedere. Poi si gioca. Poi l'arbitro fischia la fine e io già penso, nell'ordine: cosa dire nelle interviste; salire sul pullman per chiedere a Frustalupi informazioni sul prossimo avversario e farlo morire coi dettagli e le richieste; guardare il dvd della nostra partita per studiare gli errori e mostrarli ai giocatori. L'unica cosa che conta è la prossima gara che è sempre una finale di Champions. E' così da quando ho iniziato, e ormai ho passato le 530 panchine da professionista. Non ho pace neppure d'estate: finisce il campionato e mi guardo indietro, a ciò che ho fatto, poi se ho raggiunto l'obiettivo faccio una cosa che non posso raccontare, ma insomma sconto una pena, un voto, è una camminata molto faticosa in salita in un posto che non dico. Ma è stata una bischerata scegliere 'sto voto: ormai invecchio ed è sempre più dura. L'ultima volta, un altro po' e ci muoio, su quella salita".

DALLA C2 ALLA SERIE A

E' proprio la parola "salita" il termine giusto per descrivere la sua vita. Lui che, da semplice osservatore, è riuscito, sforzo dopo sforzo, ad arrivare nella massima serie e diventare l'allenatore di top club come Napoli e Inter: "In tutta sincerità, e senza voler passare per il presuntuoso che non sono: mi sento unico. Sono partito non da zero, da sottozero. Senza aiuti o raccomandazioni sono arrivato in serie A. La mia carriera non l'ha fatta nessuno, conosco tutti i ruoli tecnici: sono stato osservatore, allenatore dei portieri, allenatore in seconda, primo allenatore in primavera, poi in C2, in C1, in B, in A, sempre andando avanti, mai un esonero. Ne sono orgoglioso, mi sento realizzato. Ho avuto soddisfazioni che mi tengo dentro e che sono migliori di altri riconoscimenti più visibili, e divido i meriti con i collaboratori che mi seguono ovunque".

TUTTO COMINCIA DA LONTANISSIMO

Tutto comincia da lontanissimo: "I Mazzarri vengono da Portoferraio. La mia famiglia parte da zero. Dal nulla, mio padre apre una piccola industria nel ramo alimentare. Mio padre mi vorrebbe in azienda ma mi piace il calcio. Il mestiere di calciatore, però, non fa per me, lo capisco subito: adoro giocare ma non sono a mio agio nello spogliatoio, nelle sue logiche. Frequento l'università, Economia e Commercio, mi mancheranno per sempre otto esami perchè ad un certo punto parto militare e addio. A 28 anni capisco che devo pensare al futuro. Devo tutto a Renzo Ulivieri, che da allenatore mi fa capire che ormai sono al capolinea poi anni dopo si ricorda di me, mi chiama a fare l'osservatore per il Bologna. Scrivo relazioni così chiare che Ulivieri le mostra orgoglioso ai giornalisti. Il primo anno viaggio a spese mie, più tardi sono capo degli osservatori, vado pure in Sudamerica a fare l'ultimo esame al giocatore da comprare. Poi allenatore a vari livelli, le giovanili, infine la prima panchina da professionista".

L'ACIREALE, PRIMA PANCHINA DA PROFESSIONISTA

La prima panchina da professionista è quella dell'Acireale, C2, anno 2001: "Il presidente è Pulvirenti, che ha cacciato 15 allenatori nei tre anni precedenti. - spiega Mazzarri - Esordisco a Pozzuoli, 1-1. Tempo dopo perdo un derby e tutti pensano che verrò esonerato. Mi trovo i tifosi sotto casa: ci parlo fino alle 2 di notte, spiego e argomento, finisce che mi applaudono. L'indomani Pulvirenti mi convoca: 'Lei mi ha convinto, ho capito di avere un allenatore vero'. Da lì Pistoia in C1, il Livorno in B che dovrebbe fare un campionato tranquillo e invece lo porto in A dopo 55 anni; 3 anni alla Reggina, con salvezze da record; poi la Samp che con me torna in Europa e in finale di Coppa Italia dopo una vita; infine il Napoli in Champions, ora l'Inter. Un passo dopo l'altro, sudandomi tutto".

I RAPPORTI CON LA FAMIGLIA

Dunque, è dal 2001 che Walter Mazzarri è in giro per l'Italia; la sua famiglia, però, non lo ha mai seguito. Lo stesso Mazzarri spiega le ragioni di ciò: "Quando iniziai ad Acireale, con il serio rischio di un esonero in tempi brevi, mio figlio Gabriele aveva 5 anni e non ce la sentimmo di fargli iniziare la scuola lontano da casa. Così, lentamente, ho tenuto la mia famiglia lontano dalla mia vita. A volte chiedo a mia moglie se sa che mestiere faccio... Ci siamo visti poco in questi 12 anni. Uno dei miei crucci è di non esserci stato negli anni più belli di Gabriele. Ricordo certi distacchi brutti, quando allenavo a Reggio uscivo alle 5 di mattina e lui piangeva, perchè non sarei tornato che due settimane dopo. Ho trascurato lui e la mamma, sono stato via tanto. Ora ha 18 anni, vado ad abbracciarlo e non mi vuole più, mi manda via. per forza, ormai è un uomo. Ma spero che capisca, un giorno, perchè il papà ha scelto questa vita".

LE PREFERENZE TATTICHE

Passando invece alla sue idee di gioco, Mazzarri spiega le proprie preferenze tattiche: "Perchè preferisco la difesa a tre? Primo: per avere più variazioni in fase di costruzione del gioco, perchè ci sono più linee di passaggio. Secondo: in difesa si può rischiare l'anticipo perchè c'è un difensore più dietro. Terzo: si possono fare adattamenti sull'avversario in fase passiva per poi rovesciare il campo dopo aver conquistato palla, e lì i giocatori devono conoscere a memoria schemi e movimenti preordinati. Si parla poco di tattica, purtroppo dopo le partite: solo risultato e polemiche. Per quanto riguarda invece il mio rapporto con gli altri allenatori è semplice e chiaro: rispetto chi mi rispetta".

LA NUOVA VITA MILANESE

Infine una battuta sulla sua nuova vita a Milano, dopo aver allenato quasi sempre in località di mare: "Se al mattino guardo il mare mi predispongo meglio al lavoro, ovvio. Però Milano ha delle cose belle che una città di mare non ha, ad esempio ho scoperto in centro case stupende, comode, e ci sto bene. Poi si sa, noi viviamo di risultati. Se vinci la gente ti sorride e stai bene, pure con la nebbia; se perdi, anche il cielo più azzurro ti sembra pieno di nuvole".

(Fonte Repubblica.it)