La stagione maledetta. Eppur non doveva essere così. Eppur non è tutto da buttare. Va agli archivi l'annus horribilis nerazzurro e con lui il progetto Stramaccioni. Un tecnico giovane per un club giovane. L'inizio sullo sbocciar di primavera, anno 2012, sotto fausti auspici, sembrava aver finalmente inaugurato l'era post-Mourinho, fantasma di casa alla Pinetina. Poi l'estate, il mercato e la partenza con l'idea di chi sa di poter far bene, ma non sa ancora come far bene. Inizio stentato. Dubbi di modulo, necessità di adattarsi alle stelle rimaste a cui non si può rinunciare. Sneijder, incatenato a San Siro, come simbolo e leader da cui ripartire, dopo l'addio degli eroi di Madrid, in nome del fair play finanziario (ammesso che realmente esista un fair play finanziario...), con lui Milito e Samuel.
Si parte con la difesa a 4, il trequartista, appunto l'oranje responsabilizzato, e le due punte. Si vince facile a Pescara, fin troppo facile. Segna proprio Wes. Ma il campanello d'allarme arriva presto. La Roma di Zeman si incunea nelle crepe dell'Inter, travolta tra le mura amiche dalle “insolenti” accelerazioni offensive del boemo. La quarta giornata manda in archivio le certezze iniziali. Se con la Roma si può cadere, non così col Siena, che espugna Milano e apre ufficialmente i primi processi. Bisogna cambiare. Stramaccioni lo sa e rivoluziona tutto.
Difesa a 3. Al centro Samuel, l'unico con l'esperienza e il carisma per guidarla, ai lati Juan, giovane, potente, ma disordinato e Ranocchia. Centrocampo di rottura e corsa, di cui l'emblema è Gargano, faticatore inesauribile, e tre fenomeni davanti. La classe di Cassano, l'eterno Milito e il neo arrivato Palacio. Si rischia, perché si sceglie in pratica di non giocare. Si difende alla morte su ogni pallone e poi ci si affida a quei tre, svincolati da ogni compito di copertura. Loro inventano, segnano e l'Inter vince. Tra campionato e coppa dieci volte in fila, con lo scalpo dello Juventus Stadium. I bianconeri cadono, dopo 49 gare casalinghe senza sconfitte, colpiti dal Milito-bis e dal Trenza. Sembra l'inizio della nouvelle vague nerazzurra. Sembra, perché da lì inizia la discesa agli inferi.
Qualche errore arbitrale, qualche infortunio, su tutti Samuel e Milito, e si sfalda il mito del modulo perfetto. Perde l'Inter, perde Strama e perde la società. La coperta si scopre, perché troppo corta. Se non crei nulla e ti affidi solo ai colpi di genio dei tuoi solisti, puntualmente paghi quando i tuoi solisti vengono a mancare. Senza il Muro vacilla la difesa e Juan si scopre improvvisamente troppo acerbo per questo livello. Senza il Principe, davanti lo spartito non è più lo stesso, perché solo lui è in grado coi suoi movimenti di creare spazi per gli altri. Perché solo lui è in grado di allacciare una squadra priva di punti di riferimento. Cade a Bergamo, stenta in casa, poi cade ovunque. Stramaccioni spera nel gennaio riparatore, ma lì esce ancor più sconfitto. É infatti lui che sponsorizza Schelotto, a costo di privarsi del giovane Livaja. Quando poi anche Cassano e Palacio sono costretti ai box da noie muscolari, non resta che aggrapparsi al vetusto Rocchi e alzare gli occhi al cielo. Finisce addirittura nono, in un girone di ritorno raccapricciante. Fuori da tutto, costretto ai preliminari di Coppa Italia. E dire che era stato in grado di battere chiunque. Dalla bella Fiorentina di Montella alla Juve di Conte, dal Napoli di Mazzarri al Milan di Allegri. Lampi isolati in un cielo in tempesta.
E l'Europa? Altra piaga nerazzurra. Un girone abbordabile, superato con estrema facilità e limitato dispendio energetico. Talenti della Primavera lanciati nella giungla straniera. Poi gli ottavi col Cluj. Formalità sbrigata rapidamente. Infine la notte di White Hart Lane. La fine dei sogni nerazzurri. Bale distrugge l'armata Brancaleone di Strama, che pensa al campionato, al possibile terzo posto e vara un'Inter di mezzo. Una sorta di compromesso tra big e seconde linee, che genera confusione e sconfitta. Suicidio giocarsela così, su palcoscenici di tal prestigio. Il ritorno aumenta i rimpianti e le polemiche. L'Inter si riscopre grande nella notte del Meazza e capisce che il Tottenham, così grande poi non lo era. Riacciuffa per i capelli la qualificazione, ma cede nell'extra time. Fuori per il gol Spurs in trasferta. Occhi bassi e sconforto. Sensazione di aver gettato alle ortiche un trofeo alla portata.
TOP:
1)SAMIR HANDANOVIC
Dopo l'addio di Julio Cesar, direzione Qpr, si storceva il naso in casa Inter. Ruolo delicato quello del portiere. Come fare? Poi è arrivato lo sloveno silenzioso. Leader, senza urlare. Leader, con le parate e con il carisma. Fuoriclasse. Tra i migliori al mondo. Non per niente da Barcellona, da casa del signor Leo Messi, hanno alzato lo sguardo e pensato a lui per il dopo Valdes.
2)MATEO KOVACIC
Arrivato all'improvviso, sul finire di gennaio. Quasi una risposta al Balotelli rossonero. Cifra considerevole. 11 più bonus alla Dinamo Zagabria. Ambito dalle grandi d'Europa, ma poco conosciuto. Sì qualche apparizione in Champions di livello, ma poco altro. Un ruolo, quello di regista, non il suo tra l'altro, da interpretare al meglio. Entra in punta di piedi, per uno spezzone d'esordio. Poi si prende squadra e tifosi. Colpisce per personalità, visione di gioco, colpi. Diventa padrone a meno di vent'anni del prato di San Siro. Necessariamente si riparte da Mateo, luce in un'annata piena di ombre.
3)RODRIGO PALACIO
Lo voleva Gasperini per il suo 3-4-3, lo ha avuto Stramaccioni. Fortunato chi ha dalla sua parte uno come l'ex Boca Juniors. Corre, lotta, suda e segna. Tieni in piedi l'Inter nei momenti più difficili, regge da solo il peso di un attacco stremato da stanchezza e infortuni. Non a caso si ferma lui, dopo la doppietta di Marassi con la Samp, e si spegne l'Inter. Imprescindibile. Lui e Icardi. L'Inter di domani. L'Inter di Mazzarri.
FLOP:
1)DIRIGENZA-STAFF MEDICO-PREPARATORI
Paga Stramaccioni, come d'uso e costume nel calcio. Paga Rapetti, preparatore atletico, con colpe importanti, ma non pagano a quanto pare in società e nello staff medico. Nel subbuglio di uno spogliatoio gestito probabilmente da calciatori con troppo potere e scarse energie, esce sconfitta una società morbida e priva di persone in grado di imporre rispetto e regole. Alla deriva il giovane tecnico non ha trovato ancore a cui aggrapparsi ed è stato travolto dalle onde, guardato affondare, senza alcun appiglio a cui aggrapparsi. Dal mercato agli infortuni, un quadro desolante di una stagione maledetta.
2)SCHELOTTO-KUZMANOVIC-PEREIRA
Il mercato come detto. Quello d'agosto, Pereira, e quello di gennaio, Schelotto-Kuzmanovic. L'ex Porto, strapagato, aveva impressionato ai mondiali con la maglia dell'Uruguay, ma qui non ha convinto per nulla. Terzino, esterno di centrocampo, ovunque ha destato perplessità. Confusionario, distratto. Tecnicamente rivedibile. Corsa, cuore e poco altro. Pessimo anche l'inserimento degli ultimi innesti. Il passo del serbo è da ex giocatore, il Galgo, che a Bergamo avevano messo da parte, non sembra all'altezza di un club come l'Inter. Non lo sembrava neanche prima. Difficile capire cosa abbia spinto ad acquistarlo.
3)GUARIN
Guarin è un caso a parte. Rientrebbe anche nei top, anzi sarebbe un top vero. Se solo mentalmente fosse sempre sul pezzo. Potenza devasante, tiro, corsa, accelerazioni. L'unico col cambio di passo per aprire in due le retroguardie avversarie. Per un girone il dominatore, l'arma impropria nerazzurra. Sulla trequarti per necessità, ma interno di centrocampo di livello mondiale. Per Mazzarri il nuovo Hamsik. Poi il ritorno. Abulico, svogliato, lento. Scomparso dai radar. Fa ancor più arrabbiare, avendone visto l'enorme potenziale. Da rigenerare. Se al top, un top.