Era il 15 settembre 1999 quando a Carmel, Indiana, la signora Terri Jackson dava luce al suo primogenito, frutto dell’unione con Jaren Jackson. Il piccolo Jaren Jr., dunque, si ritrova sulle spalle un background non indifferente: proprio suo padre, giramondo della pallacanestro professionistica tra Stati Uniti e Francia, può vantare a palmares due titoli CBA (1991 e 1992) ma soprattutto un anello NBA, conquistato uscendo dalla panchina nei San Antonio Spurs di Gregg Popovich, stagione 1998/99. La pallacanestro si respira tuttora anche dal lato materno: ex-Georgetown, Terri Jackson è attualmente presidente dell’associazione delle giocatrici di WNBA.
Impossibile, dunque, per Jaren Jackson Jr. non avvicinarsi al mondo della palla a spicchi: sin dall’inizio della carriera in High School, con la canotta di Park Tudor, Indiana, il figlio d’arte ha dimostrato di avere qualcosa di speciale oltre al nome. Nei tre anni ad Indianapolis, per lui, dieci punti e sei rimbalzi ad allacciata di scarpe. Dopo l’anno conclusivo, passato a La Lumiere da titolare, Jackson era su tutti i taccuini dei principali college degli Stati Uniti, ma la scelta è ricaduta su Michigan State.
Con gli Spartans, Jackson Jr. è riuscito a far esplodere tutto il suo potenziale: una stagione da 22 minuti abbondanti di media, con 11 punti, quasi 6 rimbalzi ma soprattutto oltre tre stoppate a partita. E così, mentre la sua squadra chiudeva la stagione con 29 vittore e sole quattro sconfitte, in testa alla classifica di regular season della Big Ten (pur subendo poi una cocente sconfitta dai “cugini” di Michigan in semifinale di conference), il lungo faceva incetta di premi: Defensive Player of the Year, Freshman of The Year, per non parlare della menzione nel terzo quintetto assoluto della stagione.
JJJ rappresenta la personificazione del lungo moderno: di stazza non indifferente (oltre 100 kg spalmati su 210 centimetri), il fisico si presenta longilineo, con leve straordinariamente lunghe. Con queste caratteristiche, il suo ambiente naturale non può non essere il pitturato, soprattutto in fase difensiva: la capacità di proteggere il ferro contro giocatori di altezza pari o inferiore, sia con le stoppate che con la difesa in post basso, è idilliaca, e permette ai suoi compagni di poter essere più aggressivi sul perimetro. Anche il miglior penetratore, infatti, dovrà pensarci due volte prima di lanciarsi contro un gigante simile che, anche se battuto col palleggio, può sempre usare l’atletismo e le braccia infinite (apertura alare di 224 cm, pari al 5.7% in più della sua altezza, considerata oltre la media in NBA, superiore a LeBron James e Carmelo Anthony) per imporre il suo marchio. Dall’altra parte, ovviamente, le stesse caratteristiche possono essere utili offensivamente, ma non solo: pur essendo un gran rimbalzista offensivo ed un buon attaccante del pitturato, Jackson non disdegna nemmeno un range più ampio. Dall’arco, infatti, nonostante il tiro sia costruito, riesce a realizzare quattro conclusioni su dieci: questo, unito alla grande capacità, relativa alle dimensioni, di mettere palla per terra, lo rende temibilissimo anche come stretch four, mettendo l’avversario diretto davanti al costante dilemma tra battezzare il tiro o attaccare con il rischio di essere battuto e concedere una facile penetrazione.
Qualche perplessità, invece, riguarda il discorso dell’intensità: l’NCAA è comunque una lega probante, ma il salto con l’NBA è ancora abbastanza ampio. Nonostante l’atletismo e l’esplosività ci siano, sarà necessario, probabilmente, mettere su muscoli con un programma di allenamento specifico per aumentare la resistenza ai contatti ed alle sportellate – terrificanti – che ci si scambia sotto i tabelloni del campionato di pallacanestro più famoso del mondo, oltre a migliorare il posizionamento e la concentrazione in determinate fasi di partita. Inoltre, la posizione in campo potrebbe diventare un problema non di poco conto: pur avendo buone doti di difesa in post, da centro, Jackson Jr. rischierebbe di andare in apnea se portato con continuità spalle a canestro da giocatori più alti, che sfrutterebbero inevitabilmente il mismatch. Allo stesso tempo, se schierato come Power Forward, dovrebbe scappare spesso e volentieri a difendere su un avversario diretto alla linea dei tre punti, non esattamente la zona preferita del prodotto di Michigan State, che vedrebbe inoltre minimizzate le sue qualità di stoppatore. Insomma, pur non potendo ignorare l’atletismo e le già citate leve, sembrerebbe mancare qualche centimetro e qualche chilo per farne un centro di reale impatto difensivo in una franchigia NBA; allo stesso tempo, per ricoprire il ruolo di 4 dinamico servirebbe uno step in più nella difesa perimetrale e di movimento. Qualche parolina, inoltre, andrebbe spesa anche per la dinamica di tiro, efficace ma tutt’altro che perfetta per quanto riguarda movimento e traiettoria della palla.
Fatto il conto dei pro e dei contro, è inevitabile che un prospetto simile possa far gola a tante squadre in giro per gli Stati Uniti. In attesa della March Madness, tutti i Mock Draft più rispettabili presentano Jaren Jackson in top ten, addirittura attorno alla quinta scelta assoluta al primo giro. Ovviamente, prima della lottery, ancora non si possono definire con accuratezza le eventuali pretendenti, ma alcuni scenari possono essere disegnati. I Sacramento Kings, per esempio, potrebbero affiancare a De’Aaron Fox e Bogdan Bogdanovic un altro prospetto poliedrico, su cui poter lavorare per creare combinazioni potenzialmente esplosive in vista del futuro. Allo stesso modo, a lui potrebbero essere interessati i Cleveland Cavaliers, che devono giocarsi la scelta ottenuta dai Celtics (originariamente di Brooklyn) nello scambio per Kyrie Irving: tanto qui dipenderà dalle scelte di LeBron James, ma sia in caso di un nuovo all-in del Re, che in quello di una profonda rebuilding, un lungo con queste caratteristiche ad un salario da rookie potrebbe essere una mossa vincente. Sulle sue tracce, però, ci sono anche i Chicago Bulls che, senza pressioni nell’immediato futuro, potrebbero investire su uno di quei giocatori capaci di ripagare, con gli interessi, la fiducia attraverso una crescita meno evidente ma dai limiti quasi inesistenti. Discorso molto simile anche per gli Atlanta Hawks che, toccato il fondo, cercano un colpaccio in sede di Draft per ripartire.