La genuinità e la spontaneità di un diciottenne, con la testa sulle spalle, la personalità unita all’educazione ed all’umiltà di un ragazzo che punta al futuro con enormi speranze. Riprende il viaggio di Vavel Italia alla scoperta dei giovani italiani protagonisti nei campionati di Serie A ed A2 e quest’oggi, dopo essere stati a Capo d’Orlando con Tommaso Laquintana, andiamo in direzione diametralmente opposta nello stivale, a conoscere uno dei maggiori prospetti del basket italiano: Leonardo Totè.

Nato a Verona l’8 Luglio del 1997, è uno dei migliori talenti usciti dal florido vivaio della Reyer Venezia. Da Verona, dove ha mosso i primi passi, a Brescia, passando per la laguna e per una splendida estate con la maglia della Nazionale italiana, che lo ha portato ad essere l’MVP all’All Star Game Under 18 giocatosi a Lille poco prima della finale dell’Europeo dei grandi.

Hai iniziato a giocare a basket grazie a tuo fratello, che ti ha trasmesso la passione per il gioco a Verona, prima di spostarti a Venezia e Brescia. Quando hai capito che il basket avrebbe potuto rappresentare un futuro concreto oltre che una ‘semplice’ passione?

“Ho iniziato quando ero molto piccolo, verso i 6-7 anni in una società parrocchiale nel mio quartiere a Verona. Devo molto a mio fratello che giocava a basket e con il quale andavo agli allenamenti. Lui mi ha trasmesso la passione per questo gioco. Dopo aver fatto un paio di anni lì, mi sono spostato in un altro quartiere, sempre a livello minibasket in un’altra società parrocchiale. Il primo anno di basket l’ho fatto alla Tezenis Verona con Lorenzo Perrotta e sono rimasto lì per tre anni fino al primo anno Under 17. L’ultimo anno U17, invece, mi sono trasferito a Venezia, con la Reyer, dove ho giocato anche il primo anno Under 19, prima di trasferirmi qui a Brescia. Ho capito che la pallacanestro poteva darmi qualcos’altro verso metà stagione del primo anno alla Reyer. Fin quando ho giocato alla Tezenis ho sempre ritenuto la pallacanestro come una passione, mentre al primo anno a Venezia ho incontrato Alberto Zanatta, ed è lui che mi ha messo sotto: lì ho capito che potevo emergere tra gli altri e magari un giorno diventare un giocatore professionista. Successivamente sono arrivate anche le prime convocazioni in Nazionale ed anche se stava succedendo tutto velocemente pian piano realizzavo quanto stavo crescendo”.

Un passaggio fondamentale nella crescita di un atleta è il passaggio dai campionati giovanili e dall’ambiente di casa al professionismo. Come hai vissuto il trasferimento da Venezia, dalle giovanili e dal Veneto, a Brescia ed al professionismo. Che sensazioni hai provato?

“Passare dalle giovanili al professionismo è ovviamente un salto molto grande. Passi al confronto con gente molto più forte fisicamente ed anche di altra qualità. E’ un grande salto. Proprio sotto questo punto di vista con Brescia stiamo provando a lavorare su questi aspetti, potenziando la struttura fisica e muscolare, oltre comunque a continuare il lavoro tecnico individuale. Bisogna starci in campo, devi competere con giocatori di grande stazza, esperienza ed anche talento. Per un ragazzo di 18 anni è senza alcun dubbio difficile, ma è bello, molto bello. Uno stimolo davvero molto forte. Per quanto rigurada, invece, l’aspetto ambientale non ho avvertito molto il passaggio: a Brescia mi hanno accolto al meglio, le persone ed i tifosi sono fantastici e mi hanno fatto sentire subito a casa. Anche adesso che sono infortunato mi stanno dando molto sostegno”.

Restando nell’ambito dello spogliatoio, come ti hanno accolto in squadra i “pretoriani” del gruppo, come ti sei trovato ad avere rapporti, in campo ma anche fuori, con persone e compagni di squadra più grandi e con gli americani rispetto a quelli che prima erano ragazzi della tua età.

“All’inizio hanno provato ad accogliermi così come han fatto con tutti i ragazzi arrivati a Brescia quest’anno. Visto che all’apparenza sono ragazzino ed anche caratterialmente posso sembrare uno non fortissimo potevano esserci occhi di riguardo, ma dopo i primi due tre giorni però si è iniziati subito forte con gli allenamenti. L’americano, che gioca nel mio ruolo, ha iniziato subito a menare, quindi occhi di riguardo si, ma fino ad un certo punto. Io solitamente marco Hollis, che è il giocatore più difficile che mi sono trovato a marcare finora in carriera. Durante gli allenamenti a volte impazzisco nel difendere contro di lui, però anche lui a volte si trova in difficoltà nel marcarmi ed è anche questo il bello. Anche se è un po’ ‘stronzo’ in campo, la cosa mi fa davvero piacere, perché con altri giovani magari si rilassa e gli lascia due metri, invece con me gode nel vedermi incazzato e nel mettermi in difficoltà. Questo però mi dà forza, perché significa che mi rispetta. Cittadini, invece, mi ha preso subito sotto la sua ala, ha il doppio della mia età ed esperienze ne ha un bel po’. Anche se spesso mi porta a scuola sotto canestro, è sempre bello poter imparare da lui. Coach Diana mi fa marcare sia Hollis, che è un quattro dinamico e si sposa meglio con le mie caratteristiche, ma anche Cittadini, anche se ovviamente è fisicamente più prestante ed è più un centro di ruolo”.

(Contributo video Italhoop.it)

Cosa ti aspetti dalla tua prima stagione in Serie A, quali obiettivi ti poni e su quali aspetti tecnico-tattici credi di dover migliorare.

“Negli allenamenti individuali mi sto concentrando molto sul tiro, sul palleggio ma anche sull’uno contro uno. L’obiettivo principale è quello di giocare come un 4, ma che si rispecchi con le caratteristiche del 3. In Nazionale ho sempre giocato da 5 per altri motivi, ma il ruolo dove mi sento più a mio agio è questo, quello dell’ala moderna che tende ad avere caratteristiche anche da esterno. Da questo punto di vista coach Diana ha capito subito quale fosse il mio desiderio di migliorare questi aspetti di palleggio, tiro e penetrazione. Mi piacerebbe seguire un modello Gallinari, o anche Durant. Non a caso sono i miei due idoli cestistici, quelli ai quali mi ispiro”.

Quali emozioni e quali sensazioni hai provato al momento del tuo esordio tra i grandi.

“Quando succedono queste cose è un mix di emozioni che difficilmente riesci a mettere insieme e descrivere. Fino a due secondi prima sei lì in panchina tranquillo e dopo la chiamata per entrare ti iniziano a tremare le gambe. Io sono fatto così, vivo questi momenti così sia con la Nazionale, con la Reyer, oppure all’All Star Game, ed è bello, molto bello, anche se non riesco a spiegarle. Una volta in campo ci pensi i primi 20 secondi poi rompi il ghiaccio”.

Hai parlato dell’All Star Game che hai giocato a Lille (nel quale ha vinto il titolo di MVP della gara con 23 punti a referto in 22 minuti e 9/13 al tiro). A tal proposito, che effetto ti ha fatto scendere in campo con i migliori prospetti Europei? Che sensazioni hai provato prima, durante il match e dopo la gara? Che tipo di difficoltà hai avuto nell’approcciare questo tipo di gara ‘unica’, dove non conosci i tuoi compagni. Come hai cercato di imporre la tua personalità senza eccedere in egoismi?

“Partiamo dal presupposto che l’obiettivo di tutti quelli che erano lì a Lille era apparire e mettersi in mostra. E’ una partita sì per divertirsi, ma comunque per mettere in luce i prospetti migliori. Ognuno sapeva che avrebbe dovuto far meglio degli altri perché ovviamente chi avrebbe vinto l’MVP sarebbe stato quello più in mostra tra tutti. Io non mi sarei mai aspettato di fare così bene perché c’erano giocatori di maggiore esperienza, già conosciuti, noti. Nessuno si aspettava che potessi fare qualcosa io, ed è stata una bella sorpresa anche per me. E’ stata diversa dalle altre volte, perché lì la prima volta che mi è arrivata la palla ho tirato, quando invece spesso ci pensi su. Dopo aver tirato e segnato da quel momento è iniziato tutto. Se mi ha aiutato essere maggiormente spensierato rispetto al campionato? Si certo, essendo una partita di divertimento ho giocato molto più rilassato e tranquillo, però una volta iniziato a tirare e segnare, ho visto che le cose andavano bene ed ho continuato. Direi che è andata bene”.

Passando alle avventure estive con la Nazionale Under 18 agli Europei ed al Mondiale con l’Under 19, che ti hanndo dato visibilità, possibilità di migliorare, di confrontarti con altri giocatori e dato successivamente la possibilità di partecipare all’All Star Game di Lille: quanto ti è servita, nel processo di crescita personale e di maturazione, questa esperienza? Quali compagni di squadra italiani ti hanno colpito maggiormente?

“Innanzitutto indossare la maglia dell’Italia è completamente diverso rispetto ad indossare quella del club. Indossando la maglia della Nazionale si provano molte più emozioni, rappresenti un paese e senti il sostegno di tutta una Nazione alle tue spalle ed è veramente bellissimo. Giocare con le giovanili dell’Italia ti porta anche ad una responsabilità maggiore nei confronti di chi è più giovane di te: devi far bene e tenere altissimo il livello di concentrazione e del tuo livello di basket, pensando sia a sé stessi che a chi verrà dopo, perché altrimenti precludi alle future generazioni di giocare l’Europeo nel gruppo A piuttosto che in quello B. Chi mi ha sorpreso maggiormente, per quanto riguarda l’Under 19 dell’Italia, è Flaccadori, anche se non ho avuto il piacere di giocare con Mussini che era infortunato. Flaccadori è il classico giocatore bello da vedere che può fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento: non ti aspetteresti mai un canestro eppure ne mette con facilità tre o quattro di fila”.

Infine, quali sono i tuoi obiettivi personali e le ambizioni per il futuro.

“Così come dissi alla fine dell’All Star Game, anche se non capivo molto cosa stava succedendo perché ero travolto dalle emozioni e non ricordavo nemmeno di averla fatta, parlai di NBA proprio convinto e sicuro di me. Poi ci ho ripensato su e mi son detto che se devo puntare a qualcosa, devo puntare il più in alto possibile. Di sicuro Belinelli o Gallinari magari non si sarebbero mai immaginati di arrivare fin lì da piccoli, quindi io farò il massimo per provare ad arrivare più in alto possibile. Per ora il mio obiettivo è quello di lavorare bene con Brescia e con l'Italia prima di tutto. Non ho intenzione di fare il college, ma voglio restare qui in Italia e prepararmi al meglio per il futuro. Poi se qualcuno sarà disposto a darmi fiducia di certo non mi tirerò indietro. E’ difficile, certo, ma non impossibile”.

Ringraziando per la disponibilità la Basket Brescia Leonessa e Leonardo Totè,

Andrea Bugno e Claudio Sorbino