Da quando sono cominciati i training camp, sono state tante le critiche ricevute dai Golden State Warriors.

La loro vittoria, lo scorso hanno, non è stata gradita da parecchi “pezzi grossi” della Lega che, forti di un animo competitivo e scettico, hanno più volte definito la cavalcata dei Warriors frutto di fortuna.

Doc Rivers, uno che di basket se ne intende parecchio, ha detto che Golden State è riuscita a vincere perché non ha incontrato squadre come i Clippers o gli Spurs (ovvero fortuna).

Kyrie Irving gli ha fatto eco dicendo che se lui fosse stato bene, i Cavs avrebbero sicuramente vinto il titolo. Traduzione: i Warriors sono stati fortunati. Dulcis in fundo, James Harden ha detto che lui meritava di vincere il titolo di MVP lo scorso anno.

Prima però di tuffarci sulle ragioni di tali affermazioni, è bene ricordare qualche numero della passata stagione dei “lucky Warriors”: 67 vittorie in regular season (soltanto 10 squadre sono riuscite in questa impresa) nella difficilissima Western Conference ed un record di 16-5 nella post season.

Per quanto riguarda invece i tre ragazzoni citati poco prima, si dovrebbe ricordare a Doc che la sua squadra è stata incapace di chiudere la serie contro gli Houston Rockets quando era sopra 3-1. Quegli stessi Rockets che al turno successivo sono stati massacrati dai Warriors, quegli stessi Rockets di cui fa parte l'Harden che avrebbe dovuto vincere lo scorso Most Valuable Players.

Ma perché quindi si è così tanto restii ad ammettere l'onesta superiorità di Golden State? Cose rende incapaci le persone d'ammettere di essere stati inferiore ad un'altra squadra?

Il problema che sta avendo la squadra di Kerr è però un problema comune nella NBA. Basti pensare ai Santonio Spurs del santone Gregg Popovich, che hanno dovuto vincere cinque anelli prima di essere finalmente riconosciuti come una squadra vincente e dominante.

I Warriors di adesso si trovano esattamente nella stessa condizione. E non è soltanto un problema di gioco. Il concetto di “small ball” va avanti da almeno un quindicina di anni. Loro però, lo scorso anno, sono stati quelli che hanno capito come inglobare, in questa situazione, il tiro da 3. Come utilizzare al meglio tutto lo spazio in campo e, grazie alle straordinarie capacità dei singoli, sono riusciti ad “ammazzare” il campionato.

Questa cosa, questo usufruire così tanto del tiro da tre punti, è una cosa piuttosto nuova per la Lega e, come tutte le cose nuove, si è sempre molto restii ad accettarle (un ottimo esempio è Billie Bean degli Okland Athletic's nella MLB).

Oltre al modo di giocare, però, c'è altro, e basta fare un nome: Steph Curry. Il numero 30 della Baia ha avute non poche difficoltà all'ingresso in NBA. I tantissimi problemi alle caviglie non gli hanno mai permesso di esprimersi ai livelli di oggi.

Ora che è esploso però, tutti lo vedono come un autentico miracolo. Tutti ne parlano come un ragazzo basso, fisicamente troppo debole ed esile, e, soprattutto, come un atleta non eccezionale.

Stephen Wardell Curry è alto circa un metro e novanta (6-3 feet), è un giocatore che compete alla grandissima contro i suoi diretti avversari di ruolo e, stando alle misurazioni della NBA, eguaglia un certo John Wall in altezza appunto, sprint, agilità e “verticalità”.

Come se non bastasse, l'incidenza di Curry in un campo da basket è fin troppo chiara: la differenza, in positivo, con Curry in campo su 100 possessi era di 14.4 punti appena 2 anni fa. Adesso, è di 17 punti. E come se non bastasse, il plus/minus di Curry è il più elevato dai tempi di Jordan: 1,000+.

Alla luce di tutto questo, come si può non definirli una squadra dominante? È davvero necessario che Curry, Thompson, Green e Barnes vincano per i prossimi 10 anni?

Se davvero così fosse, noi non possiamo che augurare loro buona fortuna e che lo spettacolo continui.