La percezione che il grande pubblico della pallacanestro aveva di Marco Belinelli è cambiata nella stagione agonistica 2013-2014. Il suo arrivo in maglia Spurs coincide con il quinto titolo Nba della franchigia texana, cui il Beli contribuisce in maniera importante pur partendo dalla panchina. Nella stessa annata il nuovo giocatore di San Antonio si aggiudica anche la gara del tiro da tre punti all'All Star Game di New Orleans, Lousiana. Da quel momento in poi lo status Nba di Belinelli è cambiato radicalmente, al punto da consentirgli di firmare un contratto milionario per i Sacramento Kings a partire dalla stagione 2015-2016.

Nativo di San Giovanni in Persiceto, nei pressi di Bologna, il giovane Marco stupisce immediatamente in maglia Fortitudo, attirando le attenzioni di vari scout e addetti ai lavori Nba. Ecco dunque il passaggio oltreoceano già nel 2007, a soli 21 anni, scelto alla diciottesima chiamata del primo giro del Draft dai Golden State Warriors di coach Don Nelson. I Warriors sembrano la squadra ideale per l'inizio di carriera Nba di Belinelli: ritmo, corsa e tanti tiri da tre punti in transizione paiono fare del gioco della franchigia della Baia il contesto tecnico perfetto per Marco. Ma la non ancora raggiunta maturità fisica (troppo esile per gli standard della lega) e incomprensioni con Nelson rendono fugace e poco significativa la prima fermata Nba di questo ragazzo che i californiani chiamano "il Sylvester Stallone del basket", per una presunta somiglianza con il noto attore di Hollywood.

Nel 2009 Belinelli si trasferisce a Toronto, dove trova il compagno di squadra in nazionale Andrea Bargnani. Ma le fortune del Beli non cambiano neanche ai Raptors: pochissimo spazio e la sensazione di non venir mai preso in considerazione dallo staff tecnico canadese paiono il preludio all'addio al basket americano. Ma dal 2011 in poi sono i New Orleans Hornets di Chris Paul ad accorgersi delle qualità dell'emiliano, titolare del ruolo di guardia tiratrice sotto la sapiente regia di uno dei migliori playmaker dell'intera lega. Un Belinelli finalmente calato nel ruolo di giocatore Nba finisce poi due anni dopo a Chicago dove, anche a causa dei molti infortuni nel reparto esterni, si ritaglia uno spazio importante decidendo una gara-7 di primo turno di playoff ad Est contro Brooklyn. Il resto è storia recente, con i due anni strepitosi trascorsi a San Antonio e il privilegio di essere stato il primo italiano di sempre ad alzare il Larry O'Brien Trophy.

L'avventura di Belinelli in nazionale ricalca per certi versi quella vissuta nella carriera da professionista. Dopo un esordio con il botto ai Mondiali del Giappone del 2006 (25 punti e altre meraviglie contro gli Stati Uniti), il Beli si ripete agli Europei del 2007, salvo rendere le sue presenze in maglia azzurra sempre più saltuarie, causa impegni Nba. Si rivede in nazionale nel 2011, in una edizione disastrosa per i colori italiani della più importante manifestazione continentale. Non va molto meglio nemmeno a Slovenia 2013, nonostante una ormai superiore maturità tecnica ed atletica. I prossimi Europei segneranno dunque un punto di svolta nel rapporto tra Belinelli e la Nazionale. Unica guardia tiratrice pura (insieme al talentuoso ma più inesperto Della Valle) della rosa dei dodici di Pianigiani, Marco sarà titolare del ruolo di numero due, uno dei punti di riferimento di una squadra di grande talento, cui manca tuttavia continuità per essere considerata tra le grandi del continente.

Pro - "Ci mancherà la capacità di Marco di produrre punti in pochi minuti", le parole utilizzate da Chip Engelland, componente dello staff tecnico degli Spurs, nel commentare l'addio a San Antonio di Belinelli. La caratteristica migliore del numero 3 azzurro resta infatti la produttività in termini offensivi. Molto più che un semplice tiratore perimetrale, Marco ha negli anni completato il suo gioco divenendo pericolosissimo nell'utilizzo del pick and roll (che può sfruttare anche da passatore) e incisivo anche nell'attaccare il ferro in penetrazione dopo aver messo palla per terra, come alternativa al tiro da fuori, che rimane il suo marchio di fabbrica. Già viste in preparazione molte situazioni in cui il Beli chiede o trova il blocco di un compagno, sul quale si stampa l'avversario, per avere il tempo necessario per alzarsi da tre. Opzione offensiva che rivedremo da Berlino in poi.

Contro - In attacco sono pochi i punti deboli di Marco Belinelli. Forgiato ormai da varie stagioni di duro apprendistato Nba, il ragazzo da San Giovanni in Persiceto ha imparato a forzare il meno possibile, nonostante qualità balistiche speciali. Sarà importante per lui prendere subito ritmo e confidenza con il sistema di gioco, per non dover cominciare litigando con le percentuali. Lo si vedrà spesso con la palla in mano, quasi da playmaker ombra, e in quella posizione andranno verificate le sue letture contro difese aggressive e organizzate.

Difesa - Nella propria metà campo Belinelli è cresciuto enormemente negli ultimi tre anni. Prima Thibodeau e poi Popovich gli hanno imposto un'applicazione difensiva maggiore, grazie alla quale oggi Marco è un difensore accettabile. Rimane tuttavia esposto a grosse difficoltà se attaccato uno contro uno o in post da un avversario di stazza superiore. Dovrà ridurre al minimo alcune amnesie che ha di tanto in tanto nelle rotazioni e, in generale, nella difesa di squadra e non sulla palla.

Il ruolo - Shooting guard purissima, Belinelli non dovrebbe soffrire la concorrenza dei suoi compagni di squadra nel ruolo di guardia, a meno che Pianigiani non decida di alzare il quintetto, preferendogli Gallinari e Gentile, con un solo playmaker di ruolo (Hackett o Cinciarini).