03-07-1999. Una data come tante altre. Per alcuni, forse.

I volti di Andrea Meneghin, Carlton Myers e Gregor Fucka, stremati di fatica ma ebbri di gioia assieme al sudore ed alle lacrime di Alessandro 'Picchio' Abbio, entrarono nei cuori di tutta Italia, ancor più in quelli degli appassionati (pochi) della palla a spicchi a tinte verdi bianche e rosse. Un giorno come un altro in terra di Francia, acerrima e storica cugina/nemica in campo e fuori, con il cielo transalpino sopra Parigi-Bercy che si colorò di un azzurro splendente, quello della Nazionale di Bogdan Tanjević, l'ultima vincente della quale se ne abbia memoria nello Stivale. A distanza di sedici lunghissimi ed interminabili anni, la speranza è quella che, seppur qualche mese più tardi e un po’ più in là nel territorio francese, il cielo possa tornare a colorarsi d'azzurro, così come in quel giorno di inizio Luglio del '99.

La storia - Il lungo e glorioso (si, il termine è appropriato perché, ad oggi, siamo ancora la Nazionale con il maggior numero di medaglie al collo in Europa, anche se raggiunti dalla Spagna) cammino della Nazionale Italiana di Pallacanestro agli Europei non è iniziato però quel Luglio di fine anni novanta, bensì qualche anno prima. Il personalissimo medagliere dell'Italbasket recita (la nostra speranza è che a fine Settembre verrà aggiornato alla prima, o mal che vada, alla seconda voce) 2 ori (1983 e 1999), 4 argenti (1937, 1946, 1991, 1997) ed infine, ma non di minore importanza 4 bronzi (1971, 1975, 1985 e l'ultima medaglia in ordine prettamente cronologico, nel lontano 2003). Già, l'Italia del basket non riesce in campo europeo a raggiungere il podio della massima competizione per nazioni da ben 12 anni. Un'attesa infinita.

Fino ad allora, fatta eccezione per i due argenti vinti a cavallo delle due Guerre Mondiali, la storia degli azzurri narra di tre cicli particolarmente vincenti: il primo firmato da Charlie Recalcati (in campo) e Meneghin padre, il secondo dai vari Costa, Magnifico, Brunamonti e Villalta, accomunati entrambi dalla costante ed immarcescibile presenza di quel fenomeno che porta il nome di Pierluigi Marzorati, ed infine dall'ultima generazione di fine anni '90 ed inizio nuovo millennio. La cultura cestistica del paese nasce, a tutti gli effetti, con la prima nidiata di talenti degli anni '50, che circa vent'anni dopo si imporrà nel Vecchio Continente come una delle maggiori potenze dei parquet. Tuttavia l'Urss di Belov e Paulauskas prima e la Jugoslavia di Cosic e Dalipagic poi, sono troppo avanti per i nostri mezzi (fisici soprattutto) e ci relegano soltanto al gradino più basso del podio.

Il primo successo degno di nota arriva agli Europei (il destino a volte è proprio strano) di Francia '83. Caglieris, Tonut, Bonamico, Gilardi, Costa, Brunamonti, Villalta, Meneghin, Vecchiato, Marzorati, Sacchetti (si, Meo) ed un indemoniato Antonello Riva sovvertono ogni pronostico che li vede sotto a Spagna e soprattutto alla Russia dell'astro nascente Sabonis e conquistano il primo meraviglioso oro della nostra storia, superando gli iberici in finale realizzando ben 106 punti. La prima età dell'oro azzurra (la seconda speriamo possa fare altrettanto), si ripete, seppur in parte, due anni dopo, sfiorando soltanto la vittoria finale: stavolta Sabonis è immarcabile ed in semifinale gli azzurri devono soltanto chinare il capo. Gli anni gloriosi della pallacanestro azzurra vanno, per forza di cose, attribuiti in gran parte all'opera di programmazione e costruzione di Sandro Gamba, che prese per mano l'Italia nel '79 e la trascinò fino a quel bronzo di Stoccarda.

Dall'86 al ‘96, il duo Bianchini-Messina non riuscì, intervallato dal Gamba/bis, a confermare i risultati del quinquennio precedente. L'attuale vice allenatore dei San Antonio Spurs si congedò conquistando l'argento agli Europei del '97, ma il suo rapporto con la Nazionale non fu mai idilliaco. Del successo del '99, con il naturalizzato Tanjevic alla guida, abbiamo ampiamente raccontato le gesta degli azzurri, che si distinsero per la compattezza del gruppo, per l'unione di intenti e per uno spirito di sacrificio al di fuori del normale, caratteristiche di tutti i gruppi dell'Italia sportiva in generale.

Forse è proprio questo insieme di aspetti che mancherà all'Italia negli anni a venire, quando la crescita del movimento ha portato ad una Nazionale maggiormente forte dal punto di vista tecnico ma anche imborghesita nell'animo, meno operaia e propensa a far legna. Dodici lunghi anni ci separano dall'ultima gioia firmata Basile, Galanda e Bulleri in Svezia (la stessa squadra di Recalcati del miracolo Olimpico di Atene). Un'astinenza che la squadra di Pianigiani è chiamata ad interrompere.

L'ItalPianigiani - Chi non ha ancora negli occhi la fantastica Italia vista nel girone eliminatorio all'ultimo Europeo in Slovenia due anni fa. L'Italia sembrava tornata operaia, con tantissimo spirito di sacrificio soprattutto nelle stelle nascenti (Belinelli e Datome) che sembravano mostrare la strada per il successo. Cinque vittorie di fila, poi il tonfo. Una squadra incapace di reagire e mettere in mostra tutto quanto di buono fatto fino a quel momento. Ottavo posto e mancata qualificazione al Mondiale spagnolo dello scorso anno, che abbiamo appositamente rifiutato tramite wild card per preparare l'Europeo transalpino. Scelta discutibile, della quale si è parlato tanto, forse troppo. Tuttavia, l'eventuale presenza al Mondiale scorso avrebbe forse precluso all'Italia la presenza dei fab four all'Europeo 2015. L'occasione è ghiotta, forse più che mai. La Spagna è decimata, la Francia potrebbe avere la pancia piena. Sognare, forse, è lecito.

L'allenatore - La carriera di Simone Pianigiani, dopo aver preso il posto da capo allenatore del Montepaschi Siena in luogo di Recalcati, sembrava destinata, dopo i primi anni senesi, a ben altro curriculum e palmares. Dopo Siena, la parentesi turca, notevolmente infelice, al Fenerbahce. Al termine di quell'esperienza, mente e corpo dell'allenatore quasi cinquantenne di Siena si sono dedicate alla Nazionale. Ciò che manca è l'acuto, la definitiva consacrazione a livello tecnico, mentale e di gestione del gruppo. I motivi dei dibattiti e delle infinite polemiche sul Pianigiani allenatore al di fuori del suo orticello non sono state ancora fugate. L'occasione, anche in questo caso, è forse l'ultima a disposizione.

La squadra - Se avevamo parlato della prima età dell'oro del basket italiano per la nidiata che ha spopolato gli anni '70 e '80, senza alcun dubbio quella della seconda decade del nuovo millennio può essere considerata la figlia più che legittima. Quattro giocatori presenti in pianta stabile nel miglior campionato del Mondo di Basket (tre considerando il passaggio di Datome in Turchia in estate). Una folta schiera di ragazzi, chi più giovane, chi meno, che arriva alla manifestazione continentale reduce dalle fatiche dei playoff italiani giocati su livelli tecnici e tattici che non si vedevano da anni. Cinciarini, Della Valle, Cervi e Polonara da Reggio Emilia, Hackett, Gentile e Melli da Milano, Aradori oltre a Pascolo, Vitali, Poeta e Cusin (tre di questi ultimi quattro verranno tagliati) sembrano essere il perfetto contorno per la portata principale del menù: Gallinari, Belinelli, Bargnani e Datome sono chiamati a trascinare l'Italia verso ciò che più ci compete, ma che non ci è affatto dovuto. Negli ultimi anni la rosa azzurra è maturata, passando da brucianti sconfitte dovute, in gran parte, a quella sorta di imborghesimento di cui sopra. La conditio sine qua non per andare avanti sarà, a partire dal girone eliminatorio e dalla prima sfida con la Turchia, la coesione del gruppo, insieme all'equilibrio in campo e allo spirito di sacrificio che i quattro All-Star lanceranno come messaggio al resto della ciurma. Qualora l'esito dovesse risultare positivo, potremmo vederne delle belle.

Il quintetto - Parlare di quintetto base sembra alquanto difficile, anche se le prime amichevoli sembrano aver delineato, al netto delle assenze dei tre giocatori americani, le prime gerarchie. In cabina di regia sarà Cinciarini a prendere il posto, inizialmente, di Daniel Hackett. Una scelta ponderata, in quanto il play di Reggio passato all'Armani Milano garantisce maggiore gestione dei ritmi della gara e maggiore distribuzione di punti e tiri, oltre che una fase difensiva migliore rispetto al nuovo giocatore dell'Olympiacos. Belinelli-Gallinari-Datome sembrano gli unici tre ad essere sicuri dei propri posti in quintetto negli spot di guardia, ala piccola ed ala grande, mentre per quanto riguarda Bargnani si dovranno valutare in primis le sue condizioni fisiche, prima di effettuare una valutazione di tipo tattico preferendogli Cervi da centro per un discorso prettamente difensivo. Dalla panchina, se così possiamo chiamarla, Hackett, Aradori, Gentile, Melli e lo stesso Bargnani o Cervi sono un secondo quintetto che difficilmente altre Nazionali possono avere a disposizione. Il pranzo è servito.

L'obiettivo - Partendo dal presupposto che l'Italia troverà sul suo cammino un girone a dir poco esaltante quanto difficile, qualora gli azzurri dovessero impattare al meglio la competizione dal punto di vista mentale e superare brillantemente il primo turno, la strada potrebbe risultare successivamente in discesa. La lezione ricevuta nell'ultima spedizione europea servirà da bagaglio di esprienza: un eventuale filotto non vorrà affatto dire vincere l'Europeo, ma mettere una seria ipoteca su quello che potrebbe essere il risultato finale. Iniziare l'avventura in Germania, contro Turchia, Spagna e padroni di casa tedeschi, potrebbe contribuire ad alzare il livello di concentrazione ed attenzione fin dai primissimi passi, avendo però l'accortezza di non rilassarsi strada facendo. Le chance di medaglia ci sono tutte. L'Italia punta a Rio, senza giri di parole. Il tutto senza dimenticare un pizzico di scaramanzia: il destino ci ha messi di fronte, per la terza volta, ad un Europeo in territorio francese a sedici anni di distanza, laddove prima nell'83, poi nel '99, vincemmo la manifestazione. Non c'è due senza...