La gioia dopo la grande paura. E la grande fatica. La prima di Agnieszka Radwanska a Wimbledon diventa per la polacca un lungo e tortuoso percorso per scalare la montagna Ruse. La romena, che sembrava facile avversario per un debutto morbido nel Tempio della racchetta, si rivela osso duro e, alla fine della partita, è quella che più deve fare i conti con i propri demoni e, soprattutto, con la bellezza di sei match point sprecati.
Eppure l'inizio del match sembrava poter raccontare un'altra storia, quasi che per la Maga polacca quella di Elena Barbara Ruse fosse una formalità da sbrigare in poco tempo: ci mette del suo Radwanska, con sprazzi dei tempi migliori, ci mette del suo - ma in negativo- la romena, che probabilmente paga lo scotto dell'esordio in un torneo così importante. Ci vogliono cinque game prima che il monologo della finalista 2010 si potesse interrompere, ma i tre game di fila messi assieme dalla Ruse non cambiano il destino della prima frazione.
A cambiare, però, è l'atteggiamento in campo della romena: non più il pulcino bagnato e impaurito, ma una tennista in grado di ribattere colpo su colpo e mettere in difficoltà l'avversaria - da poco rientrata in campo dopo aver smaltito i problemi alla schiena che l'avevano costretta a saltare il Roland Garros -fino a strappare il secondo set e arrivare più volte vicina a compiere l'upset di giornata.
Chiave si rivela il decimo game del terzo set, con la Ruse che in ben sei occasioni si trova sulla racchetta la palla del match ma che altrettante volte viene tradita dalla frenesia di chiudere. Superato indenne il braccio di ferro - durato oltre dieci minuti - del decimo game e rimessa dalla sua parte l'inerzia del match, Aga ha chiuso facilmente la pratica alla prima occasione utile prima di sorridere tirando un sospirone di sollievo. Alla gioia della polacca, fanno da contraltare le lacrime di una ottima Ruse, che dopo aver accarezzato il sogno della vittoria si trova a fare i conti nel modo peggiore con la crudele legge del tennis. Se lo chiamano lo sport del diavolo, del resto, una ragione ci deve pure essere...