La nuova vita in un torneo Slam di Maria Sharapova si è fermata dopo quattro partite. Merito di un'ottima Anastasija Sevastova, brava a contrapporre alle bordate di Masha un gioco di trama e tessitura, che assieme alla ruggine per le fatiche precedenti sostenute dalla russa hanno inceppato il motore ancora non perfettamente rodato della siberiana. La lunga squalifica, i problemi fisici che l'hanno accompagnata nell'avvicinamento a Flushing Meadows, le tutt'altro che morbide battaglie contro Halep e Babos, le fatiche maggiori di quanto preventivato per avere ragione della giovane Sofya Kenin, la lunga fila di haters pronti a brindare al primo passo falso, il solito corollario di critiche e polemiche da dribblare e rimandare al mittente: tantissimi e concomitanti, i fattori che hanno reso lo Us Open di Maria una specie di erculeo dodecathlon.
In cui, dal canto suo, la campionessa del 2006 si è disimpegnata alla grande, affrontando una serie di sfide che hanno esaltato le sue doti di grande lottatrice. Utilizzando ogni arma a sua disposizione: la rabbia e la carica agonistica per scollinare l'ostacolo Halep, beffardo regalo del sorteggio in un primo turno dal sapore di finale; il carisma per far crollare le certezze di Timea Babos nei momenti più importanti del match; il magnetismo per portare ogni volta dalla sua parte la folla adorante dell'Artur Ashe Stadium, 22mila e spicci persone in adorazione della Zarina venuta dall'Est. Un plebiscito. Sul campo, sprazzi di classe e di nobiltà tennistica, perlomeno finché il fisico ha retto e nel serbatoio energetico ci sono state stille necessarie ad alimentare la macchina. Difficile pensare che potesse arrivare fino in fondo e vincere il Torneo, scrivendo una pagina di sport fra favola e impresa da annali, impossibile pronosticare alla vigilia fin dove si sarebbe potuta spingere. «Mi accingo a fare una camminata nell'ignoto», aveva scritto la stessa Maria lo scorso luglio in un bellissimo contributo vergato di suo pugno per il Player's Tribune, raccontando le sue sensazioni al momento di rimettere piede in un campo da tennis.
Dalla tappa newyorchese ne esce rafforzata e corroborata nelle sue certezze. E non solo per quanto detto sopra: ancora una volta Maria ha saputo navigare oltre la tempesta di dichiarazioni poco accomodanti di colleghe ed addetti ai lavori, ormai classici "regali di benvenuto" che la siberiana si vede recapitare non richiesti alla sua porta. Una sorta di ossessione e di malcelato timore per il ritorno prepotente sulla scena di un personaggio per mille fattori scomodo, capace nel bene o nel male di accendere su di sé la luce dei riflettori, siano essi per una vittoria sul campo, per scelta dell'outfit o per qualche chiacchiera extra campo. Masha non ha dato peso a tutto ciò, e ha risposto da par suo, sul campo prima ancora che a parole - che pure non sono mancate - trasformando le bordate spedite dalle posizioni nemiche in carburante per perseguire con ancora più ferocia e determinazione il suo obiettivo di tornare in alto nelle classifiche del tennis che conta.
Il campo, appunto: laddove, ad esempio, ha fatto più strada dell'imprudente Caroline Wozniacki che, con tempismo non certo da navigata comunicatrice, aveva contestato la scelta degli organizzatori di concedere la ribalta del Centrale a una ex dopata e di dirottare lei nei campi periferici, il tutto al termine di una partita da cui la danese era uscita con le ossa rotte. La risposta di Maria? Concisa e ficcante allo stesso tempo: «Non faccio io la programmazione. E comunque io sono una grande combattente: anche se mi mettessero a giocare in un parcheggio nel Queens di New York, sarei comunque contenta. Tutto quello che importa è che io ora sia agli ottavi degli Us Open, ma non so bene dove sia lei». Parlassimo di scherma, una parata e risposta da manuale. Non molto meglio, poi, è andata alle altre "contestatrici" di lunga data: Eugenie Bouchard, che a Madrid era pure riuscita a battere l'ex idola diventata improvvisamente una perfida imbrogliona, è sparita immediatamente dai radar, mentre Agnieszka Radwanska ancora una volta ha dovuto dire addio al sogno Slam dopo l'incrocio con la "bombardiera" Vandeweghe.
Salutata New York, c'è ancora tutta la parte asiatica del tour da affrontare. E se il cammino verso il vertice è ancora lungo e pieno di insidie, questo US Open una cosa ce l'ha detta: dopo aver camminato nell'ignoto, Maria Sharapova è uscita a riveder le stelle.