Tutti in piedi per Maria. C'è tutto l'Artur Ashe - gremito in ordine di posto per una partita che profumava di finale - ad applaudire la diva venuta dalla Siberia. Che ringrazia di cuore, mentre le lacrime iniziano a rigare il volto stravolto dalla fatica al termine di una battaglia durata quasi tre ore contro una Simona Halep tanto volonterosa quanto fallosa, che poco può fare per arginare il ciclone Sharapova.
Troppa la sua voglia di tornare ad assaporare il dolce gusto della vittoria in una prova dello Slam, così come troppa era la necessità di lasciarsi dietro un periodo difficile, condito dalla solite - stucchevoli - polemiche che accompagnano ogni wild card omaggiata alla siberiana, ma anche da tanti fastidi fisici che ne hanno rallentato il cammino e han fatto sorgere qualche interrogativo sulla sua tenuta fisica. A cui Maria - tirata a lucido nel suo completino nero con ricami di pizzo e diamanti Swarowski - risponde come meglio sa: mettendo in campo grinta e cattiveria - suo ormai classico marchio di fabbrica - aggredendo sin da subito l'avversaria (a volte anche con un po' troppa frenesia, con tanto di errori a inevitabile corollario) e lottando su ogni pallina che la Halep le rispediva nel suo campo. Al resto, han provveduto un servizio a tratti devastante e un repertorio di gioco più vario del solito, con il ricorso ampio ed efficace alle palle corte che spesso hanno mandato in tilt la romena.
Per lei, non certo fortunatissima nel sorteggio, l'abbandono alla corsa alla prima posizione e la settima sconfitta in altrettanti incroci di racchetta con la siberiana. Che porta a casa un combattuto primo set per 6-4 e va vicina, una volta portatasi sul 4-1, a far capitolare definitivamente l'avversaria già nel secondo set. Il calo della russa, però, arriva quando meno ce lo si attendeva e rianima le speranze della Halep, brava ad infilare un filotto di cinque game consecutivi e rimandare al terzo e decisivo set l'esito della contesa.
A cui entrambe arrivano con la spia della riserva ormai vicina ad accendersi, ma fra le due è proprio la russa a scattare meglio dai blocchi di partenza e volare presto sul 4-1. Ma se nel secondo set, Maria, proprio a quel punto si era inceppata, questa volta il copione è diverso: con le energie al lumicino, Sharapova ne centellina ogni stilla e gestisce il vantaggio, lasciando in un paio di occasioni a 0 il turno di battuta all'avversaria. L'epilogo, nell'ottavo game: qualche incertezza, una flebile speranza per Halep di brekkare e allungare, quindi l'errore decisivo della romena che spedisce oltre la linea di fondo campo. La richiesta di challenge è una disperata preghiera che non trova accoglienza, mentre le lacrime di gioia avevano già cominciato a irrorare il volto della divina siberiana.