Sguardo disinvolto, freddo - quasi di ghiacchio - e dito indirizzato alla tempia. "The brain", il segreto dello svizzero di Losanna, concentrato come non mai, fermo sui propri canoni e superiore mentalmente ad uno dei più grandi illusionisti psicologici degli ultimi vent'anni, Novak Djokovic. Ogni "c'mon" urlato nel tramonto dell'Arthur Ashe, susseguente ad una palla break annullata, sgretolava la pesante armatura del serbo costretto a soccombere anche dopo il doppio medical time-out. Un treno merci in campo e parallelamente nel mondo della psiche, dritto verso il terzo slam in altrettante finali. Perchè quando si tratta di finali, Stanislas Wawrinka è secondo solo a se stesso.
La difesa di Djokovic
Diciamocelo, soprattutto i primi tre game della gara si sono rivelati un match a sé, lontano dall'epilogo che l'incontro avrebbe consegnato nella notte italiana. Solito schema mentale di Nole, volto a sbriciolare ogni certezza dell'avversario ad inizio di ogni set per poi mantenere il servizio e volare senza colpo ferire alla conquista dello stesso. Il secondo game è indicativo, in particolare il primo punto. Ogni attacco di Stan viene rispedito al mittente: dritto, rovescio, nemmeno lo smash piega Nole che poi induce l'avversario a sbagliare. Sorriso appena accennato e volto di chi, probabilmente, immaginava già il risultato finale.
La tattica di Djokovic permane per buona parte del parziale inaugurale e rischia di avere il climax durante il sesto gioco, quando Wawrinka concede altre palle break al nativo di Belgrado. Annullata la seconda, Stan the Man caccia un urlo al grido di "c'mon" e, da lì, inizia la sua cavalcata verso la coppa. Il set lo vincerà Nole al tie-break ma il cemento darà poi il duro referto: la difesa di Djokovic non basterà ad arginare i mattoni di un rigenerato Wawrinka.
Il rovescio di Wawrinka
Il colpo più bello della finale, senza ombra di dubbio. L'elvetico mette sul piatto un colpo fantastico. Fantastico. Incrociato, stretto, lungolinea ed anche, talvolta, in back per spezzare lo scambio. Stan lavora il rovescio come solo lui sa fare, dandogli un tocco magico tendente al surreale. I vincenti sono fioccati dal cielo newyorkese ed hanno permesso al N°3 del mondo di costruirsi un castello di carte praticamente indissolubile. Dopo la scoppola del prolugamento, il primo break nel secondo set è arrivato grazie ad un lungolinea millimetrico che ha pulito la riga, come suol dirsi.
Non solo, Nole continua a difendere in maniera egregia ma Wawrinka costruisce, tatticamente, una tela in grado di inglobare il serbo. Accelerazioni decisive nei momenti cruciali, servizio sempre costante, colpi di rifinitura a rete ed un dritto usato in tutte le salse (topspin, cross e chi più ne ha più ne metta). Ed è proprio con il dritto che lucchetta il break nel quinto game riuscendo a minimizzare un rovescio insidioso e pungente come quello del serbo.
La mente
Questa, forse, è la chiave più importante del match. In semifinale, Djokovic attua un tipo di gioco diverso da quello che si è visto lo scorso 11 settembre. Sfruttando un Monfils sopraffatto dall'emozione e dalla fretta, il serbo non forza praticamente mai i colpi rischiando un'accelerazione o un vincente. Inoltre, è statico con il rovescio, sempre corto e piatto. Il problema alla spalla del venerdì sembra qualcosa di serio (medical time-out chiamato nel quarto set) che potrebbe presentare un Djokovic incerottato ad un Wawrinka pronto a cucinarlo a fuoco lento. Invece in finale, tutto completamente ribaltato. Nole è una furia: attacca, corre, difende e scende a rete con buona frequenza, riuscendo a far giocare 5-6 colpi all'avversario. Subito break e 3-0 avanti. Djoker molte finali le ha vinte anche così, surclassando mentalmente i suoi avversari nei primi game e riuscendo a strappare più gratuiti del previsto.
"Farò il massimo, anche se so che fare il massimo contro Novak può comunque non bastare perchè lui sa lo stesso come metterti al tappeto".
Stan sapeva bene della grande forza mentale, piuttosto che fisica, del serbo ed ha deciso di applicare una contromossa in conferenza stampa. Eccola, qui sopra, servita. Il nativo di Losanna ha studiato bene le mosse del suo avversario e lo ha ripagato con la stessa moneta, non piegandosi nemmeno dopo il doppio medical time-out chiamato in un momento a dir poco delicato della gara. E quel dito sulla tempia, vuol dire molto.