Auguri Ferrari, simbolo a livello internazionale del genio italiano ed universalmente riconosciuta come emblema del lusso. Ci sono state macchine che hanno contribuito alla diffusione del brand nel mondo, ma ciò non sarebbe stato possibile se in questi settant'anni fossero mancati al team italiano alcuni uomini dal grande carisma, prima ancora che dotati di capacità, e parliamo sia di piloti che di figure interne alla scuderia.

Nel citare personaggi che hanno contribuito a scrivere la bellissima storia della Rossa di Maranello non si può non partire da Enzo Ferrari. Il Drake è stato prima pilota e poi grande figura nella scuderia italiana, a cui ha dedicato praticamente tutta la sua vita: fu lui il 12 marzo 1947 a condurre fuori dai cancelli della fabbrica la prima storica vettura, la 125 S. Di aneddoti circa il padre della Ferrari ce ne sarebbero a centinaia da raccontare, ma a nostro avviso i più significativi sono due, i quali si sposano inoltre alla perfezione con questo finale di pre season 2017, che ha visto la SF70H grande protagonista nei test di Barcellona. Quando gli chiesero quale fosse la macchina migliore costruita a Maranello, rispose che "la macchina migliore è quella che deve ancora essere costruita", dimostrando una voglia di portare il più in alto possibile il nome della Ferrari attraverso un'evoluzione continua. L'altra citazione che vogliamo sottolineare riguarda il rapporto viscerale di affetto intercorrente tra la scuderia italiana e i propri tifosi, che rimane immutato anche in anni difficili come sono stati gli ultimi: il Drake diceva che "i nostri tifosi ci chiedono vittorie e noi lavoriamo per dargliele", ed è ciò che a Maranello stanno facendo negli ultimi mesi, con la pista che intanto ha dato riscontri positivi, che saranno da confermare tra due settimane alla prima gara in Australia.

Enzo Ferrari e Gilles Villeneuve

Un'altra figura che senza dubbio ha scritto una pagina importantissima di questa lunga storia è Alberto Ascari, pilota che nel 1952 riuscì per la prima volta a far vincere il titolo mondiale alla Ferrari. Fu il primo di una lunga serie di trionfi e per Enzo Ferrari fu una gioia grandissima, come da lui stesso raccontato. Era la prima volta che a fine stagione si risolveva in favore della Rossa il duello tra Ferrari ed Alfa Romeo, che ha caratterizzato gli anni '50 ed era molto sentito dall'una e dall'altra parte, anche se entrambe hanno origini comuni.

Ascari con la Ferrari del '52

Circa un ventennio più tardi approda alla corte di Maranello un personaggio diventato leggenda, non solo delle quattro ruote, ma dell'intero motorsport: Niki Lauda. Celebre fu il duello degli anni '70 tra l'austriaco e James Hunt, che invece era alla guida della McLaren, vinto dal primo nel 1975 e nel 1977, mentre il 1976 fu anno leggendario: all'interno di esso si ebbe il famoso incidente di Lauda al gran premio di Germania 1976, dove la sua Ferrari perse aderenza sull'asfalto umido e finì contro le barriere, incendiandosi e intrappolandolo in un'inferno di fuoco, da cui fortunatamente fu salvato, ma le ustioni riportate furono talmente gravi che ancora oggi il suo volte è sfigurato. In quell'anno l'austriaco tornò a gareggiare a Monza circa quaranta giorni dopo l'incidente in condizioni fisiche non ancora perfette, ma comunque il vantaggio accumulato nelle prime gare fece sì che all'ultima gara al circuito del Fuji, in Giappone, la lotta tra lui e Hunt per il titolo fosse ancora aperta. Questa è una di quelle gare rimaste negli annali della Formula 1: una violentissima pioggia si abbatté sulla pista, tanto che essa era al limite della praticabilità e per questo motivo i piloti si spaccarono in due schieramenti: chi voleva correre e chi no. Alla fine la gara si corse, ma accadde l'incredibile: il pilota della Rossa si ritirò per la paura che la pista gli incuteva in quelle condizioni al limite, ed in questa scelta influì il grave incidente del Nurburgring, che evidentemente lo aveva segnato a livello psicologico. Hunt non vinse, arrivò terzo, ma comunque questo piazzamento gli permise di diventare campione. Enzo Ferrari si arrabbiò molto con Lauda per il suo ritiro e si arrivò ad una lite tra i due, che erano entrambi di carattere tutt'altro che mite.

Lauda e la sua Ferrari

C'è poi un pilota che non ha vinto nessun titolo al volante della Rossa, se si esclude il titolo costruttori del 1979, ma che è ugualmente rimasto impresso indelebilmente nella memoria degli appassionati italiani. Parliamo di Gilles Villeneuve, pilota canadese, arrivato alla corte di Maranello nel 1977, diventato subito un pilota amatissimo, in assoluto poco vittorioso, ma capace di conquistare le folle attraverso uno stile di guida unico, aggressivo, che lo coinvolse spesso in incidenti spettacolari, che gli fruttarono il benevolo appellativo di Aviatore. Un amore grande tra la gente ed il pilota, conclusosi tragicamente nel 1982 al gran premio del Belgio, dove Villeneuve urtò Mass a 220 km/h nel tentativo di superarlo. La forza dell'impatto fu talmente dirompente che la monoposto dopo aver sbattuto contro il guard-rail venne sbalzata in aria, per poi ricadere in pista. Il pannello inferiore della vettura si staccò e con esso l'attacco delle cinte di sicurezza, ed il canadese venne sbalzato fuori dall'abitacolo, andando a sbattere contro le reti di protezioni: in particolare il collo finì contro un paletto di sostegno e la gravità dell'incidente fu chiara subito a tutti. Morì ufficialmente nella serata e tutto il mondo fu molto scosso da quella notizia. Il più segnato di tutti fu Enzo Ferrari, che con Villeneuve aveva un rapporto molto stretto, tanto da considerarlo un figlio; apprezzava di lui la schiettezza, una caratteristica difficile da trovare in un mondo come la Formula 1. Il Drake lo definì così: "con la sua capacità distruttiva che macinava semiassi, cambi, frizioni, freni ci insegnava anche cosa fare perché un pilota potesse difendersi in un momento di necessità. È stato un campione di combattività, ha aggiunto notorietà a quella che la Ferrari già aveva, gli volevo bene".

 

Gilles Villenueve

Arriviamo alla storia più recente, a quello che con estrema probabilità è stato il periodo più bello all'interno di settant'anni di gloria, nato da un decennio molto buio per la Rossa che si aprì con la scomparsa di Enzo Ferrari nel 1988. Un ragazzo di Hurth, cittadina tedesca, nel 1991 debutta in Formula 1 con la Benetton e fa subito notare di che pasta è fatto, vincendo nel 1994 e 1995 il titolo mondiale: è proprio lui, il Kaiser Michael Schumacher. I suo ottimi risultati attirano l'interesse della Ferrari, che riesce a prenderlo con sé nel 1996: benché fosse assai talentuoso, il tedesco nei suoi primi anni alla guida della monoposto italiana non riesce ad ottenere titoli, dal momento che il gap tra la Rossa e le scuderie inglesi era piuttosto ampio. Dal 2000 la musica cambiò: la Ferrari trovò competitività ed affidabilità e la vettura si sposò alla perfezione con lo stile di guida di Schumacher, dando il là ai cinque titoli mondiali conquistati di fila dal 2000 al 2004. In Italia impazzì la Schumi mania, facendo arrivare il tedesco ad essere il pilota probabilmente più amato di tutti i tempi dal pubblico italiano. Gli ultimi due anni del pilota di Hurth in Ferrari sono, invece, più difficili: nel 2005 la macchina manca di competitività, mentre nel 2006 la rottura del motore in Giappone fa sfumare ogni sogno di chiudere la sua avventura italiana con un sesto titolo in tasca.

Schumacher con una delle sue tante Ferrari

Contemporaneamente all'epopea di Schumacher, un altro grande uomo sedeva al muretto della Ferrari, Jean Todt. Il francese era entrato nella scuderia italiana come direttore tecnico nel 1993, e gli venne affidato il compito non facile di riportare la Rossa dove meritava di stare. Come già detto, erano anni tutt'altro che facili e serviva una figura capace di riportare organizzazione dopo la morte del Drake, coincisa con anni di sbandamento tecnico e gestionale. I primi anni non furono facili, ma a cavallo del nuovo millennio si trovò la quadratura del cerchio e iniziò la striscia di vittorie di Schumacher. Molti addetti ai lavori sono concordi nel dire che il ritorno in pompa magna della Ferrari sia legato al buon lavoro svolto da Todt, sia come capacità di indirizzare lo sviluppo e dare organizzazione alla scuderia, sia come qualità umana, intesa come carisma. Saluta la Ferrari alla fine del 2007 lasciando il proprio posto a Stefano Domenicali.

Jean Todt

Giungiamo ora all'ultimo campione del mondo in rosso, Kimi Raikkonen. E' da inserire di diritto tra coloro che hanno scritto la storia della Rossa perché campione del mondo 2007, ma anche perché è tutt'ora in attività ed ha appena fatto segnare un tempone di 1:18.636 con la SF70H nei test di Barcellona. Il 2007 fu un campionato mondiale piuttosto strano, segnato dalla Spy Story: la McLaren aveva rubato segreti alla Ferrari per quanto riguarda la monoposto attraverso Nigel Stepney, interno alla scuderia, che a causa di un risentimento verso la casa italiana per una mancata promozione aveva iniziato a passare progetti al team inglese, dove lavorava l'amico Mike Coughlan. La McLaren dopo il processo venne sanzionata con l'azzeramento dei punti in classica costruttori e una salata multa. Nel frattempo all'interno della squadra, in pista, si consumava il duello rusticano tra Fernando Alonso e Lewis Hamilton che, ostacolandosi a vicenda, avevano favorito il recupero in classifica di Raikkonen. All'ultima gara in Brasile i tre erano racchiusi in 7 punti, col ferrarista in terza posizione; le due Ferrari in gara prendono il largo, mentre Hamilton prima va lungo tentando di superare il compagno e poi è vittima di problemi al cambio, che gli fanno perdere posizioni nel tentativo di resettare la trasmissione. A fine gara Raikkonen vince, Massa è secondo e Alonso terzo, e così può esplodere la festa degli uomini di Maranello, momenti di gioia assoluta che a distanza di dieci anni speriamo di rivivere al più presto.

Raikkonen celebra il titolo del 2007