È mancato un pelo che a Daniel Ricciardo non riuscisse il colpaccio. Questione di un giro, forse due, e il GP di Singapore avrebbe avuto con buona probabilità il suo finale ad effetto, rovesciando l’ordine naturale di un weekend fin lì stradominato da Rosberg. Invece l’ha portata a casa Nico con sudore e merito, trattenendo il fiato nelle fasi finali di una corsa ravvivata sì dall'incidente al via con conseguente Safety Car (sempre uscita nelle 9 edizioni corse), ma soprattutto dalla strategia e dalla diversa lettura offerta dai tre top team in lizza per il podio.
Gara in cui, guardando al puro aspetto cronometrico - con Rosberg e Ricciardo divisi sul traguardo da appena mezzo secondo -, le tattiche da due e tre soste hanno finito per equivalersi, smentendo la previsione obbligata di Pirelli su due soli stop. Solo in parte, ovvio: l’ordine di arrivo sancisce senza appello vincitori e vinti ed oggi ha premiato il “pacchetto” meno aggressivo, permesso - va evidenziato - dalla solita guida accorta, ancorché velocissima, di Rosberg.
Solo contando su una gestione impeccabile di gomme e meccanica (più il vantaggio della pole) da parte del pilota, Mercedes ha potuto insistere sulla combo ultrasoft-soft-soft inizialmente prevista e tenere così a bada sia l’arrembaggio dell’australiano che le criticità emerse dall’impianto frenante. Un doppio merito per Nico - triplo se contiamo l’incredibile qualifica dove ha rifilato ben 7 decimi a “sua maestà" Hamilton -, che gli vale a somme tirate il 22° sigillo personale (raggiunto Damon Hill) e soprattutto la ritrovata leadership mondiale con 8 punti di vantaggio sul teammate.
Hamilton, viceversa, lascia Singapore ridimensionato dal confronto interno e da una trasferta in cui è stato l’ombra di se stesso, salvato più dall’inventiva tattica della squadra che dalla sua verve al volante. Infilzato da Ricciardo al sabato e da Raikkonen in gara, Lewis ha riagguantato il podio solo grazie alla mossa delle tre soste, diversivo creato dal team al 46° giro - quando ne restavano 15 al termine - per prendere i rivali diretti in contropiede: missione riuscita con la Ferrari, che ha fatalmente scelto di allineare Raikkonen alla Mercedes n°44 sacrificando l’impostazione iniziale delle due soste.
Se, infatti, Daniel ha conservato la piazza d’onore per via del vantaggio acquisito, niente ha potuto Kimi pur fermandosi il giro successivo all’inglese e vantando nei suoi confronti una mescola più aggressiva (ultrasoft contro supersoft) per l’ultimo stint di gara. Sarebbe bastato, invece, restare in pista sulla falsariga di Rosberg per conservare posizione e podio, male che andasse il finlandese sarebbe comunque giunto 4°. Peccato perché Raikkonen aveva mostrato la grinta dei giorni migliori con quel sorpasso "di rapina" e un ritmo per lunghi tratti anche migliore dell’iridato in carica.
La stessa tenacia che ha permesso a Vettel (coadiuvato da una meccanica fresca: nuovi motore, turbo, MGU-H e cambio) di risalire la china a suon di sorpassi fino al 5° posto finale e lasciarsi così alle spalle un sabato da incubo; impostando una prima parte in gestione su gomme soft, per poi mollare le briglie con un doppio treno di ultrasoft.
Tutto giusto, anche se il “what if” - cosa avrebbe potuto essere senza il cedimento della barra anti-rollio in qualifica e, di conseguenza, un piazzamento ortodosso in griglia -, alimenta ancor più i rimpianti di un bilancio complessivo non all’altezza del potenziale, che maggiori affidabilità (per Seb) e freddezza (per Kimi) avrebbero potuto sollevare. Una spiacevole ricorrenza quest’anno.
Arrivabene ha comunque tenuto ad elogiare la reazione della squadra ma, fossimo in lui, inizieremmo ad alzare il tiro, e non solo a parole. In fondo è o non è la Ferrari!?