“Cabeza”. Testa, mima Marc Marquez roteando il dito alla tempia al termine della rocambolesca gara di Assen. Quella “testa”, o sangue freddo se volete, che il 23enne di Cervera ha dimostrato di saper usare già da inizio stagione, e oggi più che mai gli ha permesso di agguantare il massimo risultato col minimo (si fa per dire) sforzo, mediando giro dopo giro tra istinto e ragione, tra i pruriti del polso destro e le preminenti esigenze di classifica. E beneficiando altresì degli harakiri altrui.
Paradossalmente anche l'inferiorità tecnica della Honda gli ha giovato spingendolo a intravedere un'alternativa all'ortodossia del "tutto o niente", a fare di necessità virtù, a correre in modo più ragionato e, di conseguenza, più proficuo.
Ora Marc vanta 24 lunghezze su Lorenzo e ben 42 su Rossi a 10 gare dal termine: un tesoretto costruito sulla nuova saggezza agonistica, sopraggiunta a modularne il talento innato, che gli consente di ipotecare il terzo alloro in MotoGP. Sì perché, al di là dei numeri, fino ad ora il rivale da tener d’occhio si è dimostrato Rossi, il più lontano in classifica ma anche più rapido, convinto e supportato da Yamaha di un Lorenzo in netta flessione, e forse già con la testa in Ducati.
Valentino, invece, infila il terzo “zero” pagando ancora una volta un pegno ingeneroso rispetto agli sforzi e al livello esibito fin qui, mai così alto e costante al netto di errori e avarie meccaniche; un autogol rovinoso, che rischia di accrescere oltremodo i rimpianti dopo i tanti punti svaniti al Mugello, perché commesso in testa alla corsa e con discreto margine sugli inseguitori.
Ma se in Italia Rossi non poté che maledire il motore della sua M1, ora deve cospargersi il capo di cenere per aver fatto il Marquez nel giorno (e non solo) in cui Marquez ha fatto il Rossi. D’altronde, nelle sfide di equilibrismo vince chi resta in piedi e in un Mondiale dove lo scivolone è sempre dietro l’angolo, tra pioggia e gomme malferme, il funambolo Marquez ha imparato a camminare sospeso sulla fune come nessun altro.