Risplendono i fuochi d’artificio nella notte di Singapore per salutare il trionfo di Sebastian Vettel.

Mai nessuno come il tedesco sulle sponde di Marina Bay, dove ha colto il quarto successo su un circuito che in otto edizioni disputate ha premiato solo campioni del mondo. Lui, Hamilton e Alonso: la trinità della Formula 1 attuale, per titoli e reputazione.

Vettel ha centrato la 42° vittoria in carriera, scavalcando Senna nella classifica all time. E alla maniera del brasiliano ha affrontato il weekend: dominando le qualifiche, quando ha piegato la concorrenza con distacchi abissali, e conducendo autorevolmente la corsa dall’inizio alla fine.

Gli è sfuggito il grand chelem – Ricciardo gli ha soffiato il giro veloce per pochi millesimi -, ma la sostanza non cambia. Singapore resta per Vettel ciò che Monaco era per Senna: una danza estatica che lo porta a entrare in simbiosi con muretti e guard rail come fosse un tunnel infinito, ogni giro verso un limite sempre più estremo e precluso agli altri.

Vettel proprio come il Senna del 1993: all’apice della propria parabola di uomo e pilota ma dotato di una monoposto inferiore alla concorrenza; spinto a scavare in se stesso le riserve nascoste del proprio talento per risplendere nelle poche occasioni disponibili. Singapore, sulla carta, era una di queste e Vettel non se l’è lasciata scappare. Così come in Malesia e Ungheria, gare in cui ha saputo approfittare delle debolezze della Mercedes massimizzando l’alchimia, altrettanto vincente, tra la sua SF 15-T e le mescole Pirelli più morbide del lotto, soft e supersoft.

Tre vittorie stagionali – in Ferrari non accadeva dal 2012 - propiziate dalle gomme e dalla rapacità del tedesco, l’ultima delle quali ottenuta in una gara dall’andamento tutto sommato regolare, in cui l’intervento di ben due safety car non ha stravolto i reali valori in pista. Non per i piloti di testa almeno.

Un traguardo che riammette Vettel al tavolo iridato - malgrado i 49 punti da Hamilton in sei gare restino un gap difficilmente colmabile – e che porterà Maurizio Arrivabene in pellegrinaggio da Maranello a Sestola, in onore alla promessa fatta ad inizio stagione.

Una nota di contorno. Il team principal ha mandato sul podio assieme ai piloti il capomeccanico motorista Modesto “Moddi” Menabue: il dovuto omaggio al team per i grandi progressi ottenuti da inizio stagione e un ideale richiamo, insito nel nome del fortunato, a proseguire sulla strada intrapresa.