La carriera di ogni campione segue un’ideale parabola. Il talento, innato e superiore, lo proietta in alto senza apparente sforzo. Poi arriva la fase più complessa, l’affinamento certosino per maturare il proprio bagaglio tecnico, limare i dettagli e raggiungere l’apice; per diventare il migliore tra i migliori, e restarlo il più a lungo possibile. Una volta compiuta l’ascesa spremendo il massimo dai propri mezzi, la curva scollina e inizia il lento, fisiologico declino. Il meglio è alle spalle, l’evoluzione terminata.
A 36 anni molti campioni si sono già ritirati o vivono la terza età agonistica lontani dalla ribalta, in attesa del pensionamento. A 36 anni, la parabola di Valentino Rossi è tornata a impennarsi ancora una volta. Perché la ribalta in questione, beninteso, non è il sontuoso podio di Assen ma quello del Mondiale.
Dopo il biennio triste in Ducati, il nove volte campione del mondo ha saputo ricostruire il proprio rendimento da zero, un tassello via l’altro: i podi per una nuova fiducia in se stesso, le vittorie per riguadagnare autorevolezza in Yamaha e, con essa, più voce in capitolo sullo sviluppo tecnico della M1, Galbusera al timone del team, uno stile di guida rivisto, una dedizione fisica e mentale che si è fatta assoluta. Due anni e mezzo di crescita progressiva, lenta ma costante, lo hanno riportato al livello dei migliori, Marquez e Lorenzo, laddove nessuno osava scommettere.
Vinte le battaglie, ora punta deciso alla guerra: il decimo alloro che coronerebbe una carriera irripetibile per numeri ed emozioni.
Il weekend olandese ci consegna infatti il miglior Rossi di sempre: velocissimo in ogni turno di prova e irriducibile in gara fino all’epilogo, un capolavoro di lucidità e malizia negli inediti panni del difensore. Il Rossi di Assen riunisce in sé tutte le qualità indispensabili per centrare il bersaglio grosso: prestazione, fiducia, esperienza, scaltrezza, a cui si aggiunge la capacità squisitamente politica di destabilizzare gli avversari già dalle dichiarazioni pre-gara, quando ammonisce Marquez per frenarne l’impeto. D’altronde, far pesare il proprio carisma nel momento topico è la specialità di Rossi. Ma non ti aspetti che, a 36 anni, riesca a colmare le sue lacune storiche, ovvero la capacità di trovare subito l’assetto giusto e regolare gli altri nel giro secco.
Una simile prova di autorità non lascia più dubbi sul fatto che il vecchietto terribile del motomondiale sia - ironia della sorte - maturo per il titolo. Ipotizzare ulteriori margini di crescita è inverosimile ma Rossi è abituato a sorprendere e quell’ascesa porta dritta all’ennesima magia.