Vincenzo Montella ed il Milan, una storia d'amore finita nel peggiore dei modi. L'ex attaccante della Roma ha infatti prima fatto innamorare i tifosi rossoneri con quella magica supercoppa vinta a Doha contro la Juventus, nel 2016. Dopo solo delusioni ed un esonero. A Montella costò infatti caro il pari contro il Torino a fine novembre 2017. Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Montella comincia ricordando quella sfida: "Rimpianti per l'esonero? No. Uno perché ci furono più occasioni per poter vincere, e due perché dai dirigenti non c’era più fiducia, ed era palese da tempo. Il mio errore più grave fu assecondare la società nel modo di rivolgersi alla gente: si crearono aspettative enormi. O comunque troppo grandi per una squadra che partiva con undici giocatori nuovi, molti senza una storia da Champions League. Dovevamo tenere un profilo molto più basso. Mi è rimasta la sensazione di un lavoro incompiuto: avremmo potuto crescere insieme e invece non c’è stato il tempo".
Importante poi il passaggio sulle critiche fatte da Gattuso al suo modo di allenare: "Con lui non ci siamo mai sentiti. Ho solo voluto dirgli che stava sbagliando a insistere sulla preparazione atletica nelle sue interviste, si stava esagerando su un aspetto che mi tocca profondamente. Lui sta facendo bene ma non è giusto toccare le mie competenze. Ho cinque-sei anni di esperienza in più di Serie A, penso di avere conoscenze maggiori di chi dice certe cose: dati alla mano sfido chiunque in un confronto pubblico sul tema. Un conto è quanto corri, un altro l’intensità che ci metti".
Montella resta comunque l'ultimo tecnico ad aver vinto un trofeo con il Milan: "Razionalmente sarei dovuto andar via dopo quella vittoria. Ma al Milan ero e sono legato e grato. La voglia di continuare era troppa, come l’orgoglio di aver sollevato un trofeo contro una squadra imbattibile, e la lucidità poca. Dico ancora grazie a Galliani per avermi scelto, e a Fassone e Mirabelli per avermi confermato. Ho saputo solo dopo che c’erano dubbi su di me, anche se dovevo leggere prima i messaggi di scarsa fiducia che filtravano tra le righe".
"La fascia a Bonucci? - conclude - Gliel’aveva promessa la società. Io lo chiamai al telefono e gli dissi che si può essere leader anche senza fascia. La società mi costrinse a scegliere un giocatore del nuovo corso, e poteva anche essere giusto. Pensai a Leo e Biglia, che non fu proprio entusiasta dell’idea"