Quando, da piccoli, si andava al catechismo, la prima cosa che ci insegnavano è che Dio c'è ma non si vede, essendo in mezzo a noi. La Sua esistenza, differentemente da tutto ciò che abita e colora il mondo fisico, non può essere dimostrata da prove concrete, motivo che spesso ha messo in dubbio l'intera impalcatura teologica del Cristianesimo: è l'eterna lotta tra fede e ragione, che ha messo contro centinaia di filosofi e studiosi nonostante l'impossibilità di coniugare le due cose sancita dal principio metodologico del "rasoio di Occam". Lungi dall'essere blasfemi, discorso analogo potrebbe farsi per la Nazionale Italiana di calcio, che nella serata di ieri ha pareggiato 1-1 contro la Polonia e ha sancito l'inizio dell'era Mancini come CT.
L'ex allenatore dello Zenit San Pietroburgo, dando subito un segnale forte e di rottura rispetto al passato, schiera in campo una formazione giovane e priva di tutti gli atleti che fecero l'impresa nel 2006. La sfida di ieri a suo modo è stata storica: senza nessun campione del mondo, l'Italia ha infatti aperto un nuovo corso per cercare di tornare presto ai vertici dello sport più popolare al mondo. Scesi in campo con un offensivo 4-3-3, i ragazzi di Mancini hanno subito dovuto subire la pressione dei più rodati polacchi, pronti a pressare alto i portatori di palla azzurri. Questo atteggiamento propositivo ha costretto l'Italia ad arretrare il proprio baricentro, con Jorginho praticamente obbligato ad indietreggiare piuttosto che proporre una manovra fluida in fase di impostazione.
In attacco, l'Italia dei primi minuti non ha quasi mai brillato, sfruttando l'estro singolo di Insigne e soprattutto Bernardeschi ed affidandosi troppo spesso a lanci lunghi verso Mario Balotelli. A lungo andare, nel primo tempo, la Polonia ha preso le misure agli Azzurri, con Lewandowski capace di reggere da solo il peso dell'attacco. Il bomber del Bayern Monaco, vincendo i duelli fisici con il tandem Bonucci-Chiellini, si rende pericoloso già al sesto, quando si libera da Bonucci e serve Zielinski che, in corsa, si fa ipnotizzare da un super Gigio Donnarumma. Il leitmotiv della prima frazione è dunque questo: la Polonia si allunga molto partendo in contropiede, l'Italia cerca di uscire con gli esterni. Sul finale di frazione, i continui palloni persi dagli Azzurri si tramutano in goal per i polacchi: Zielinski, infatti, riceve in mezzo e non può che mettere in porta il più facile dei goal.
Nella ripresa, l'Italia cerca di risvegliarsi almeno dal punto di vista mentale ed i cambi del CT Mancini si dimostrano quantomeno azzeccati: Belotti ha dato maggiore profondità alla rosa, Chiesa al posto di Insigne praticamente spacca in due la gara. E sono proprio i due subentrati e costruire l'azione del pari, unico lampo leggermente pericoloso dalle parti di Fabianski. Ricevendo da Belotti, l'esterno della Fiorentina viene atterrato in area da Blaszczykowski, che di fatto regala agli Azzurri un rigore messo poi a segno da Jorginho. Nel finale l'Italia cerca una timida reazione, provando soprattutto cross dalla fascia sinistra e con un Biraghi poco preciso.
Come previsto, l'esordio di questa nuova Nazionale ha regalato più ombre che luci: poco fantasioso il gioco, alquanto traballante la difesa, spuntato l'attacco. Il tempo per tornare al top c'è e per ora noi tifosi, a parte l'evitare di sputare sentenze, dovrebbero riprendere l'atteggiamento religioso che ci hanno insegnato al catechismo, avendo "Fede in Chiesa". E non sto parlando del cominciare a pregare in luoghi religiosi, sia chiaro, ma il cominciare ad affidarci a Federico Chiesa e Federico Bernardeschi, esterni offensivi che ieri hanno relativamente brillato nell'oscurantismo che ha avvolto la nostra Nazionale. Per completare il processo di maturazione, i due talenti dovranno però essere lasciati in pace per diventare perno dei rispettivi club: Chiesa è ormai una certezza a Firenze, Bernardeschi sta pian piano scalando posizioni nella Juventus di Massimiliano Allegri.