Dall'iniziale 3-5-2 di un Chievo Juventus d'agosto, al 4-3-3 dell'ultimo match di campionato. Dal 2014 al 2018. Quattro anni in cui la squadra ha cambiato faccia completamente passando da Tevez a Dybala, da Pogba a Pjanic, da Llorente ad Higuain, da Vidal a Khedira. Cambi necessari per creare quei nuovi stimoli che hanno portato la Juventus ad entrare nella storia del calcio europeo. Sette titoli nazionali, quattro double consecutivi e quella Champions sfiorata per ben due volte. Aprire un ciclo così importante e longevo non è certo cosa da tutti. In questi quattro anni dell'era Allegri, uno dei tecnici più vincenti della storia bianconera, è stato possibile notare la sua capacità di adattare la Juventus ad ogni situazione: dal collettivo al singolo, con esperimenti più o meno riusciti ma comunque sempre tatticamente interessanti.
Tutto era iniziato con un proseguo della linea tattica legata ad Antonio Conte. Un 3-5-2 fatto per garantire intensità e gestione del match ma soprattutto per dare una progressiva continuità prima di un altrettanto progressivo cambiamento. Dalla difesa a tre si è repentinamente passati ad un 4-3-1-2 che tanto esaltava giocatori come Tevez, un vero trascinatore. La crisi del secondo anno sembrava alle porte ma poi la difficoltà nel far coesistere modulo e giocatori ha permesso un ritorno alle origini, con un nuovo 3-5-2 molto solido. Ciò che però è balzato all'occhio è un problema che si è presentato anche quest'anno e l'anno passato: la difficoltà nel trovare il modulo adatto.
Ben lontano da ogni forma di integralismo forzato, per ben tre anni consecutivi, Mister Allegri ha trovato una quadratura specifica dopo tanti esperimenti. Lo scorso anno, la Juventus ha incantato con uno spregiudicato e logorante 4-2-3-1. Un modulo che riusciva a far coesistere tutti gli attaccanti presenti in una rosa dalla coperta molto corta giacché le prime riserve dei due esterni erano gli adattati Sturaro e Lemina. Un modulo però che riusciva a garantire anche gestione ed equilibrio. La rivoluzione estiva in difesa ha visto partire due colonne portanti del reparto arretrato come Bonucci e Dani Alves, lasciando un buco non ben coperto dalla dirigenza bianconera. Una storia quasi rivista nell'estate del 2015 in cui salutarono la Juventus tre pilastri come Vidal, Tevez e Pirlo. Una ennesima rivoluzione, seppur in maniera più ridimensionata, che ha costretto Allegri a trovare una soluzione. Il 4-2-3-1 non garantiva solidità. Troppi i gol subiti nell'inizio campionato.
L'arrivo di Matuidi ha permesso di virare ad un ennesimo cambio modulo. Un 4-3-3 che è riuscito ad eguagliare il record di imbattibilità del campionato 15/16. Ed ecco che possiamo notare alcune analogie tra queste due annate rivoluzionarie. In primo luogo, le cessioni eccellenti che hanno portato Allegri a ridisegnare la squadra match dopo match. In secondo luogo, la solidità difensiva come muro portante, volto a sorreggere un intera squadra. A queste analogie, si aggiunge una differenza paradossale, se vogliamo. Per questa intera annata, Allegri non ha mai usato la stessa formazione due volte. Delle oltre cinquanta partite giocate, mai come quest'anno Allegri ha riproposto lo stesso undici iniziale. Ora causa infortuni, ora causa match particolare, il tecnico livornese ha mostrato di nuovo di essere un vero cultore della tattica calcistica.
Non solo: questo è stato anche l'anno di moltissimi cambi anche rispetto al modulo. Se negli anni passati, tenendo conto i sei mesi finali di campionato, si è passati dal 3-5-2 al 3-4-3 via 4-2-3-1, mai come quest'anno c'è stata un'alternanza di moduli iniziali. Dal 4-2-3-1 al 4-4-2 puro fino al più quadrato 4-3-3. Una vera e propria beffa per chi vive di integralismi a tutti i costi.