Nella redazione per la quale "lavoro", se non dovessi portare risultati sufficienti sarei immediatamente mandato a casa. Questo è un teorema che, nel calcio, troppo spesso non viene applicato o viene fatto con eccessiva frenesia. Fretta spasmodica nel cambiare, un livello di sopportazione troppo alto. Nel valzer delle panchine, che spesso (assieme al calciomercato) riempie e caratterizza l'estate di molti appassionati di calcio, non c'è mai un minimo di equilibrio.
STAGIONE FALLIMENTARE
Salisburgo, Inter e Milan. La stagione della Società Sportiva Lazio è stata disastrosa, e solo la Supercoppa Italiana vinta ad agosto contro la Juventus (in modo fortuito) ha evitato che si trasformasse in una sorta di apocalisse. Simone Inzaghi ha fallito tre obiettivi su quattro e lo ha fatto in malo modo. Tre goal subiti in sei minuti da una modesta compagine austriaca, un vantaggio enorme sull'Inter dilapidato in tre partite e la sterilità dell'attacco nel doppio confronto di Coppa Italia col Milan. La Lazio si è arresa soltanto al decimo tentativo della lotteria dei rigori, è vero, ma non è ammissibile che il quarto miglior attacco d'Europa faccia cilecca dinanzi ad una squadra a cui ha segnato perfino il fanalino di coda del campionato. Il Benevento ha espugnato San Siro, Pietro Iemmello è riuscito laddove Ciro Immobile (capocannoniere della Serie A, in ex aequo con Mauro Icardi) ha fallito. Sarebbe il caso di cominciare a farsi due domande.
LA SINDROME DI PETER PAN
La "Sindrome di Peter Pan" è quella patologia che rende i soggetti che la contraggono incapaci di accettare lo scorrere del tempo, rimanendo eternamente intrappolati nell'età infantile. Una cosa del genere sta succedendo alla Lazio, "prigioniera" di una società che non nutre nessuna ambizione. Alle pendici del Vesuvio hanno esonerato un allenatore che ha totalizzato il record di punti della storia del club (91) "solo" perchè non ha centrato l'obiettivo stagionale. Dalle parti di Formello, invece, si divinizza e si reputa intoccabile un allenatore che ha fallito praticamente su tutta la linea. Questione di mentalità, e soprattutto di ambizioni. Aurelio De Laurentis ha messo alla porta Maurizio Sarri, nonostante l'allenatore campano si fosse reso protagonista di un (quasi) miracolo calcistico, e l'ha sostituito col più rinomato Carlo Ancelotti. Un avvicendamento in panchina che potrebbe anche non portare a nulla, ma che quantomeno scuote l'ambiente e lancia loro evidenti segnali. Il Napoli è una società ambiziosa, che vuole crescere e vuole vincere. E la Lazio? La Lazio applaude i propri giocatori al termine di una stagione fallimentare, e difende a spada tratta il principale artefice di questo disastro. Perchè Claudio Lotito (per effettuare un improbabile parallelo) non mette alla porta Inzaghi e non lo sostituisce con Diego Pablo Simeone? Semplicemente perchè non può farlo, perchè non può permetterselo. Oppure, più semplicemente, perchè non vuole.
LE COLPE DI INZAGHI
Ostracismo tattico nei confronti del turn-over, una gestione scriteriata del materiale umano a propria disposizione (con conseguente svalutazione dello stesso) e una pervicace noncuranza della fase difensiva. Se a tutto questo ci aggiungiamo il suo integralismo e l'incapacità di adattarsi all'avversario, ecco che otteniamo la ricetta perfetta del fallimento. La Lazio di Inzaghi ha subito oltre cento goal in due anni, nonchè oltre sessanta reti stagionali. E' la decima "miglior" difesa del campionato. Ha subito più goal del Genoa e della Fiorentina, per citarne le due più sintomatiche. Un dato inquietante, se si pensa al valore della retroguardia di queste due squadre. Il confronto con le altre prime cinque del campionato è ancora più impietoso. La Lazio quest'anno ha avuto ragione soltanto tre volte delle "big nostrane". Due volte contro la Juventus ed una contro il disastrato Milan di Vincenzo Montella. In totale fanno tre affermazioni su tredici confronti, più quattro pareggi e ben sei sconfitte. Senza contare che il "periodo nero" della Lazio è coinciso (guarda caso) con la sua scelta di rifiutare le rotazioni, affidandosi ad un blocco unico di 14-15 giocatori nel periodo più congestionato d'impegni della stagione. C'è bisogno di sciorinare qualche altro dato?
INTRAPPOLATI IN UN LIMBO
Non è tanto la decisione di trattenere Inzaghi a fare scalpore, quanto il fatto che la posizione del piacentino, nonostante i tanti e reiterati errori commessi, non sia mai stata in discussione. Quasi come una dichiarazione di resa, uno sventolio di bandiera bianca. Quasi come a voler dire: "A noi va bene così". La dimensione della Lazio attuale è questa. Una squadra senza prospettiva, senza margini di miglioramento e costretta a galleggiare eternamente fra la quinta e la settima posizione. Un "vivacchiare" che, inevitabilmente, non può far piacere ai giocatori più ambiziosi. E' ampiamente giustificabile il loro desiderio di solcare lidi più prestigiosi. Dove magari non vinceranno nulla, ma dove almeno potranno dire di averci provato. Non si può biasimare Lucas Biglia, così come Keita Balde Diao, Stefan De Vrij e chissà magari anche Sergej Milinkovic-Savic. I giocatori importanti vogliono vincere, o magari anche solo vedere che c'è la volontà di provare a combinare qualcosa di buono. L'importante sarebbe però fare chiarezza. Ammettere che alla Lazio non si giocherà mai per traguardi importanti, e che bisognerà accontentarsi di vincere qualche sporadica coppa nazionale di tanto in tanto. Più frutto del caso che di una reale programmazione. Una comune presa di coscienza che farebbe bene a tutti, in primis ai tifosi della prima squadra di Roma.