Speculare e mai ragionare. Sin dalla notte dei tempi è stato questo il canovaccio esistenziale del nostro paese, applicabile alla maggior parte delle situazioni che un Italiano medio possa vivere nell'arco della sua vita su questa penisola. Credere ad ogni forma di bugia sballottata in faccia per creare caos, sentirsi padroni di quattro o cinque mestieri a seconda delle condizioni che gli prostrino dinanzi. E’ la logica conseguenza di una mentalità che, in Italia, sta dilagando soprattutto nel mondo del calcio ma, soprattutto, nel modo in cui viene raccontato lo sport più seguito del paese.
Ore, anzi, giorni (mesi, anni..) riempiti da sterili polemiche che assomigliano molto ad un strada senza uscita, moviole e replay infiniti per trovare verità inesistenti. La deriva del nostro calcio, del modo di pensare ad uno sport diverso, sta tutta nei lunedì in cui ogni appassionato viene bombardato da “se” e “ma”, da episodi che scavalcano un’analisi tattica o il racconto veritiero basato sulle qualità tecniche di un calciatore, o di una squadra, invece che del comportamento di un arbitro. No, neanche il VAR è riuscito a distorcere lo sguardo del tifoso medio e delle televisioni medie che, attraverso discussioni sterili, aizzano l’odio di chi guarda senza voler capire, il che è abbastanza diverso dal non riuscire a capire.
Tecnologici per stare al passo con il presente, tremendamente arretrati quando il “se” scavalca ciò che è stato, quando una designazione riesce a porsi davanti alla spiegazione fluida e continua di questo sport, del succo di questo gioco. Provate a parlare ad un americano di “Designazione arbitrale” e di programmi sulla moviola. Risposta? Un secco "You’re drunk?". Il racconto del calcio italiano del terzo millennio è basato su questo e sull'uso smodato, nefasto ed improprio dei social da parte di “persone altolocate” e “giornalisti” tifosi che gridano al complotto, che creano nelle loro menti, furti di stato (!!!), poteri forti e palazzi le cui fondamenta poggiano sulla frustrazione per non aver scritto la storia quando il traguardo era ad un passo.
E’ una questione di stile e di intelligenza che, purtroppo, in Italia ¾ degli appassionati hanno perso un po’ con il lume della ragione spento e la spia della speculazione e della becera ignoranza accesa. Cercare prove, inventare classifiche senza errori arbitrali è una roba puramente italiana che in Spagna e in Inghilterra (per non parlare degli Stati Uniti) non riuscirebbero neanche a pensare perché priva di senso e di fondamento. Perché il calcio è un'altra cosa e, come ogni sport che si rispetti, è un modo per stare al mondo senza troppi compromessi e polemiche inutili e snervanti. Raccontare calcio, in Italia, non dovrebbe essere la riproposizione di episodi vecchi di vent'anni, solo per il gusto di riaccendere polemiche, ma ad oggi dovrebbe rappresentare una serie di perché, di fallimenti dovuti a questo tipo di concezione di questo sport.
Perché una squadra italiana non vince la Champions da dieci anni e perché nessuna squadra del nostro paese è mai andata in finale di Europa League? Ma, soprattutto perché non parteciperemo al Mondiale dopo 60 anni? Troppe domande a cui pochi, in questo ambiente, saprebbero dare una risposta. I molti, invece, sono troppo impegnati ad alimentare la pubblica ottusità del modo di vivere e raccontare calcio in Italia.