Precisazione doverosa: nei miei articoli ho spesso criticato Simone Inzaghi, ma da parte mia non c'è nulla (a livello personale) contro il piacentino. Anzi, sono stato uno dei suoi pochi difensori fin dal suo insediamento al posto di Marcelo Bielsa. Non c'è quindi nessun problema e nessuna forzatura nel tessere le (meritate) lodi di un tecnico, la cui gestione della partita di ieri sera è stata encomiabile.
L'HA VINTA SIMONE!
Lettura della partita magistrale da parte di Inzaghi, che ha studiato a fondo le partite del Fußballclub Red Bull Salzburg ed ha architettato la strategia perfetta per neutralizzarlo. Ovvero, accettare i ritmi da loro imposti e correre più di loro. Gli austriaci sono una squadra che basano tutto (o quasi) sul ritmo e sulla corsa, ed è per questo che Inzaghi ha voluto improntare la sua squadra sui binari del ritmo sfrenato. Ceteris paribus; a parità di livello atletico, vince la squadra che è superiore tecnicamente. Una lettura della gara confermata dallo stesso Simone ai microfoni di Sky a fine partita, e che ha ricordato la Lazio del primo scorcio stagionale. Una squadra formato europeo.
RED BULL TI METTE LE ALI
La Lazio è nettamente superiore al Salisburgo, e l'ha ampiamente dimostrato. Non solo dal punto di vista del risultato, ma anche (e soprattutto) sotto quello della prestazione. Un punteggio che sarebbe potuto essere anche più ampio, ma la proverbiale imprecisione dei bianco celesti ed una direzione di gara piuttosto discutibile (per usare un eufemismo) da parte del signor Ovidiu Hategan gli hanno impedito di assumere contorni ben più rotondi. La Lazio, dopo un iniziale momento di sbandamento, ha saputo reagire all'ennesima nefandezza arbitrale subita. Testa, cuore e attributi. L'alchimia perfetta, per una squadra che, in quanto a carattere e senso di appartenenza, ha ripreso tutto dal proprio allenatore. Una seria ipoteca sul passaggio del turno, nel nome di Simone e nel giorno del suo 42esimo compleanno.
FELIPE SHOW: E' L'UOMO IN PIU'
Il graffio di Senad Lulic, il 300esimo goal europeo della Lazio (griffato da Marco Parolo) e l'ennesimo sigillo stagionale di Ciro Immobile. A chiudere il cerchio, ci ha pensato Felipe Anderson. Il miglior "dodicesimo uomo" del campionato italiano, colui che Inzaghi tiene sapientemente in naftalina per i momenti di bisogno. Non una bocciatura per il brasiliano, ma una scelta ponderata, volta a sfruttare la capacità dell'ex Santos di spaccare le partite. Permettersi il lusso di relegare a "riserva" (se così lo si può chiamare) un giocatore di questo calibro, significa avere un grande vantaggio (da sfruttare a partita in corso) rispetto agli avversari. Soltanto la Juventus, in Italia, con i vari Douglas Costa, Juan Cuadrado e (a volte) Paulo Dybala, ha in panchina un giocatore con le sue capacità di sovvertire l'andamento del match. Quando la partita sta per incanalarsi su un binario scomodo, Inzaghi butta nella mischia Felipe. E lì qualcosa succede sempre. Per forza. Perchè il brasiliano, quando si accende, è capace di accelerazioni letali, come quella con cui ha spaccato in due la partita e la difesa del Salisburgo. Un coast to coast che ha ricordato quelli del 2015; l'anno che aveva proiettato Felipe Anderson nell'Olimpo dei talenti del calcio europeo. Non avrà rispetto le esigenti aspettative che gravavano sulla sua testa, complice una discontinuità tipica dei brasiliani e un carattere non proprio granitico, ma quando è in giornata è davvero difficile da arginare. Un'arma letale, la freccia in più nell'arco di Inzaghi. Quella più pericolosa, da scagliare contro i nemici quando sei maggiormente in difficoltà. La Lazio è con un piede in semifinale di Europa League, sognando Lione. Felipe ce la porterà?