Non basta un fallimento conclamato, per quanto annunciato. Non bastano cattive scelte e gaffe imbarazzanti agli occhi del mondo intero. Non basta osservare una nazion(al)e umiliata ogni giorno. Insomma, non esistono condizioni necessarie e sufficienti per rimboccarsi le maniche e voltare pagina definitivamente. Un problema che attanaglia l'Italia non solo calcistica. Senza addentrarci in questioni politiche che non competono questo spazio, ieri l'Italia, quella calcistica, ha dato ancora una volta modo di mostrarsi quella che è: allo sbando completo.
Le parole di Damiano Tommasi, presidente dell'associazione calciatori, tuonano ferventi immediatamente prima della fine del consiglio della FIGC. Non c'è voglia di cambiare, non c'è voglia di ripartire. Una stasi completa che non farà migliorare certo la situazione. Anzi, la peggiorerà se possibile. Ciò che abbiamo visto ieri è una completa assenza di dignità da parte di quegli organi che dovrebbero metterci la faccia ed addossarsi le colpe, chiedere scusa invece che svicolare in scuse goffe ed imbarazzanti sotterfugi. L'apocalisse (per usare le parole dell'ex ct Gian Piero ventura) è arrivata. Priva della maggior competizione calcistica esistente, l'Italia sarà costretta a far da spettatrice dopo sessant'anni. E nonostante l'apocalisse, frutto di errori palesi da parte di molte personalità, il gesto delle dimissioni non è stato visto. Nemmeno lontanamente sfiorato.
Partendo dal basso, dal campo verde, le promesse di qualificazione non sono state mantenute. E quella che è stata più volte definita come "apocalisse" è giunta. Ebbene, ci si sarebbe aspettato un mea culpa da parte di chi è primo responsabile del fallimento per ragioni tecnico-tattiche. E invece, no. Ci si è aggrappati ai numeri, tanto fuorvianti quanto giocosi. Due soltanto le sconfitte con Ventura. Già, una di esse però fondamentale a vedere la porta di Russia 2018 chiusa. Si è preferito valutare il da farsi con il presidente (si legga alla voce "buonuscita mancata") per poi rimanere saldo nella posizione di privilegio, ossia quel contratto rinnovato inspiegabilmente fino al 2020.
E qui, si arriva all'alto, quello del calcio della politica e dei palazzi, lontano dal campo verde. Il presidente Carlo Tavecchio è il principale accusato del fallimento azzurro, o dell'apocalisse che dir si voglia. I motivi sono pressoché detti. In primis, la scelta di Ventura come tecnico. Uno dal palmares sostanzialmente inesistente e che mai aveva calcato palcoscenici internazionali. Secondo poi, ancor più grave, rinnovare il contratto in un momento molto delicato ed a qualificazione ancora incerta. Un suicidio politico. Una summa di errori insufficiente a far capire gli sbagli perpetrati dal presidente Tavecchio e dalla sua politica che si è rivelata peggiore di autogol del buon Comunardo Niccolai (i tifosi cagliaritani un po' più attempati capiranno il paragone).
In una maniera che rimanda molto alla vecchia Democrazia Cristiana si è preferito dunque salvaguardare i propri interessi, economici in primis, piuttosto che dare un'effettiva svolta al calcio italiano, in crisi oggi come non mai. Cosa accadrà da ora in poi risulta essere un mistero e con questo tipo di dirigenza, possiamo e dobbiamo aspettarci di tutto. Anche l'impensabile. Ma a questo forse eravamo già preparati da tempo. Da "Optì Pobbà" fino alle "quattro lesbiche" del calcio femminile. Che, per inciso, loro al mondiale dovrebbero andarci.