"È il miglior metodista del campionato, ma noi giochiamo senza questo ruolo. Per questo non posso chiamarlo".

Testo e parole di Giampiero Ventura, allenatore della Nazionale che, in preda alla frenesia del momento, alla rabbia, alla frustrazione, alla delusione e probabilmente - anzi certamente - alla delusione, nella serata più importante del calcio italiano da anni ad oggi si è affidato, nella sfida di San Siro, ad un esordiente nel ruolo nevralgico della partita. Il regista, o metodista, è risaputo, è ruolo discretamente particolare, necessita di conoscenza con i compagni, di consapevolezza di schemi, automatismi, di certezze che alla prima assoluta da titolare con la maglia della Nazionale nessuno, nemmeno Pirlo o chi per lui, possono avere. 

L'ultima follia - le ultime due con la scelta di Gabbiadini in attacco - di Ventura si consuma nella sfida alla Svezia, affidandosi ad uno dei più forti centrocampisti, in quel ruolo, del campionato, probabilmente il migliore quando si intende fare gara d'attacco, di possesso, di fraseggio e di verticalizzazioni, senza averlo mai provato se non in questi ultimi dieci giorni con il resto del gruppo: Jorginho. Una scelta strana, paradossale - una provocazione oppure un modo per mettere le mani avanti? - soprattutto fatta nel momento di maggiore bisogno, quando all'improvvisazione bisognerebbe rispondere con le certezze. Il mediano italo-brasiliano del Napoli, attorno al quale c'è stata più di una singola querelle riguardo la sua mancata convocazione in svariate occasioni, ieri sera si è preso - o quantomeno c'ha provato con straordinaria personalità - la Nazionale. Eppure, tutti i presupposti per fallire, per crollare ed essere uno degli imputati dell'eventuale fallimento, c'erano tutti. In primis la scarsissima conoscenza del sistema di gioco, dei compagni di squadra - come suddetto - ed infine, marginalmente, quell'aspetto dell'esordio da gestire nella propria testa con una pressione sulle spalle decisamente scomoda a cui far fronte.

Fonte VivoAzzurro
Fonte VivoAzzurro

Jorginho invece si è calato con estrema maestria nel ruolo, provando a prendere la gara in mano come è solito fare nello spartito sarriano. Chiare, nette, le differenze, con il tridente difensivo spesso in imbarazzo a cercare filtranti per il regista, chiuso, braccato dal quartetto difensivo svedese che ne ha giustamente limitato le doti, per quanto possibile. Anche in questo aspetto, Ventura ha miseramente fallito, perché nel primo tempo della Scala del calcio, Jorginho si è caricato la squadra sulle spalle, aprendo spesso il gioco sulle corsie laterali - inutilmente, perché mai Darmian e Candreva sono risultati pericolosi - e servendo due splendidi cioccolatini ad Immobile che non è riuscito a concretizzare. Nelle enormi difficoltà di costruire una manovra degna di tal nome - quest'ultima figlia delle scarsissime idee di gioco portate dal tecnico ligure alla Nazionale - un faro si è acceso nella notte del Meazza. 

Le idee e la brillantezza di Jorginho sono andate fisiologicamente spegnendosi con il passare dei minuti, frustrate nella ripresa dalla prestanza fisica ed atletica della Svezia, i cui marcantoni hanno limitato le giocate del playmaker italiano, molto meno appariscente ed efficace rispetto ai primi quarantacinque minuti. Aspetto, quest'ultimo, che caratterizza le sue prestazioni anche con la maglia del Napoli, quindi da valutare e contestualizzare a dovere. La personalità, il carisma, invece, non è mai mancato, al pari dell'abnegazione che, nei pressi del novantesimo, lo hanno costretto a dare copertura - in maniera eccelsa - ad un Bonucci oramai lanciatosi nella sfida da centravanti. 

Insomma, una partita da sufficienza piena, da regista con la R maiuscola. Una presenza, costante, che all'Italia avrebbe fatto non poco comodo nelle versioni precedenti. Un coraggio, quello mostrato nella notte di San Siro da Jorginho, che è servito invece a rimarcare ancora una volta, semmai se ne fosse sentito il bisogno, che le scelte del folle Ventura sono state ancora una volta quelle più sbagliate possibile. Un rimpianto, l'ennesimo, di una gestione scellerata che ci è costata l'esclusione dal prossimo Mondiale.