Dalla prima Play-Station e i nomi sulle maglie, alle scarpe fluorescenti e gli stadi da marketing, passando per le divise consumate e i ‘mitici’ tacchetti a 6, mai davvero passati di moda. I campi impraticabili, dove infuriava la battaglia ogni domenica, sostituiti da ‘artificial grass’ e ‘new technological design’ per il terreno. Dai baffi e le barbe lunghe alle creste colorate e le capigliature strambe. I petroldollari contro le collette dei tifosi per pagare gli stipendi. Lo scontro generazionale si gioca ogni giorno, sui campi di tutto il mondo, dove la tecnologia tenta invano di soverchiare il gusto per il vintage. Rétro, ossidato, obsoleto.

Chiamatelo come volete, ma il vecchio pallone (quello con la camera d’aria tutta scucita e a malapena integra) non passerà mai di moda. Si è persa la capacità di giocare per strada, di riprendere un pallone finito sotto un auto o peggio ancora di raccoglierlo nel giardino dei vicini, magari con qualche pezzo di vetro rotto. Non siamo più negli anni ’90, ma dobbiamo farcene una ragione, perché il calcio sopravvive e rinasce grazie a chiunque abbia il coraggio di prendere a calci, in qualunque parte del globo, quella sfera pesante qualche centinaio di grammi. San Siro o le favelas, l’Emirates Stadium o la Terza Categoria. Ognuno ha il diritto di calciare il suo pallone, scegliendo la traiettoria migliore e le scarpe più comode per farlo.

Ma può un essere umano cambiare la propria percezione di sport, quando si vede chiudere un’epoca davanti? Certamente si e la società del nuovo millennio ha influito notevolmente nel cambio pelle del pallone. Perché se i bambini di adesso preferiscono il virtuale alla partita in piazza un po’ è colpa nostra, ma non è detto che sia del tutto sbagliato. Ci sono numerose possibilità in più, che le generazioni del Novecento non avevano, per il semplice motivo di essere arrivati troppo presto e aver avuto la ‘sfortuna’ di veder giocare Maradona e Crujiff anziché Messi e Ronaldo. E’ tutta una questione di prospettiva, diceva qualcuno, perché obiettivamente lo sport rimarrà se stesso fino alla fine dei tempi, indipendentemente dai nostri capricci futuristici. Se mio figlio desidera il nuovo modello di scarpe da calcio con sottilissima suola in titanio, perché in pubblicità si dice che lo faranno correre più veloce, la colpa è in primis mia, perché non ho avuto il coraggio di togliergli i calzini qualche anno prima e dargli un pallone tra i piedi. In quel modo, probabilmente, avrebbe qualche callo o ferita in più, ma avrebbe compreso la reale dimensione di quello che ha.

Quando si dice che lo sport è unità di misura della vita, forse non si hanno tutti i torti e c’è un invito gratuito a riflettere. Ma alla fine dei conti, il bambino ha ottenuto il nuovo modello di Adidas per andare più veloce? Molto probabilmente si e non c’è da meravigliarsi, perché quello che prima era possibile fare senza scarpe, adesso lo si fa con ai piedi delle calzature da centinaia di Euro. Non c’è da meravigliarsi, è il mondo che va in questa direzione e non saremo io o mio figlio a fermare questa catena mangia soldi e mangia-valori. Sono stufo di fare esempi, ma se Neymar prima di una partita ascolta musica con i suoi cuffioni di ultima generazione, tutti i piccoli calciatori (prima di una partita) ascolteranno musica con i loro apparecchi multimediali. Non ci sarà più contatto, quell’odore acre dello spogliatoio prima del match, o il gioco di sguardi alla ricerca della concentrazione perduta. Non si può, in questo caso, dare la colpa al fuorigioco o all’arbitro (che finirà per diventare un robot tra qualche anno).

La colpa non è di nessuno, ma fondamentalmente è di tutti. E’ di chi ha iniziato a quotare in borsa le squadre di calcio, o di chi ha iniziato ad inquadrare i giocatori come dei portatori di valori sani e sobri. Non che alcuni non lo siano, per carità, ma il passaggio tra il giocator-tipo degli anni duemila e quello del duemila diciassette è qualcosa di sconvolgente. Il modo in cui si portano i calzoncini, l’attaccatura delle scarpette o il colore delle stesse. Tanti piccoli particolari che fanno riflettere. Perché si può apprezzare il gusto delle cose semplici quando quest’ultime vengono a mancare, e chissà se i nostri bambini potranno un giorno avere questa fortuna.