Di questi tempi, con l'incedere a larghe falcate della primavera, capita con maggior frequenza di addentrarsi nella rigogliosa pineta pescarese, a pochi passi dallo Stadio Adriatico.
In quei sentieri popolati da giovani e non, ascoltare il suo nome è ancora uso comune, quasi se la scorsa estate il Milan non l'avesse portato via dal Delfino. Invece, quelle strade che aveva conquistato a suon di gol, rispetto e umanità, Gianluca non le ha percorse più.
Un tempo, Lapadula era un nome tra tanti; per intenderci, uno che se incontravi per strada facevi fatica a riconoscere, o peggio ancora, non conoscevi affatto. La sua carriera, si sa, è stata una continua lotta contro tutto e tutti: dall'esclusione nelle giovanili della Juventus, al fallimento del Parma, 'Sir William' avrebbe avuto più di un motivo per dire addio al crudele mondo del calcio.
Gianluca però, non è un ragazzo come gli altri. Lui, guerriero ispirato da Mel Gibson in Braveheart, non poteva arrendersi senza combattere, No Signore! I rimorsi sarebbero stati troppi, e quel cuore, più grande del talento concessogli da Madre Natura, sarebbe andato sprecato per chissà cosa.
L'Abruzzo, dopo la seconda chance slovena, ha giocato un ruolo chiave nella vita del ragazzo nato a pochi passi dal Filadelfia: dapprima capocannoniere tra i monti che disegnano il cielo teramano; in seguito - vanificato il lavoro svolto da una sgradevole vicenda legata al calcioscommesse - mattatore nella calda e assolata Pescara.
Lapadula non c'ha pensato su, preso il treno e atteso ad ogni fermata il suo momento. Il viaggio, per l'appunto Teramo - Pescara, non è ne dei più lunghi, ne dei più faticosi. Un'ora appena è sufficiente per raggiungere i due capoluoghi abruzzesi. In quel lasso di tempo, ad un Lapa semi sconosciuto, con una serie di mezzi fallimenti alle spalle, ed un capo appoggiato sul vetro speranzoso di vedere il lungomare adriatico, è venuto facile rimettersi in gioco e tuffarsi a capofitto nel biancazzurro pescarese, spiaggia ultima per aggrapparsi ad un frecciarossa che facesse scordare la tratta sul regionale.
E così è stato. Quasi due anni oltre, allo stesso Gianluca, certamente più uomo, ma al tempo stesso egualmente umile, si apprestano a tornare in mente quei luoghi calcati giorno dopo giorno, scanditi dalla brezza marina e dai gol, arrivati a grappoli tra le tribune amiche. Già, sembra un'eternità, ma Lapadula è un ex ancora fresco, protagonista indiscusso della cavalcata verso la Serie A del Delfino.
Domenica, in un pomeriggio che si preannuncia piovoso, dinanzi al tutto esaurito dell'Adriatico, sarà difficile trattenere l'emozione. 30 gol in 44 presenze hanno fatto di Lapadula un idolo indiscusso, amato e coccolato come pochi prima di lui.
La sua storia, le sue sofferenze e la sua fame, lo hanno contraddistinto come uomo e come attaccante: non un semplice stoccatore, bravo nel concludere sotto porta. Anzi, Lapadula è tutt'altro che un classico 9. Sempre in movimento, alla ricerca dello spazio, della profondità o del pallone sui piedi per dialogare con i compagni di reparto. Forse frenetico, alle volte impreciso, probabilmente non coordinatissimo. Eppure, quella storia che da piccolo aveva preso da esempio tanto da farsi soprannominare Sir William da suo fratello, è diventata realtà.
«Chi combatte può morire, chi fugge resta vivo almeno per un po’. Agonizzanti in un letto tra molti anni da adesso, siate sicuri che sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo a urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita, ma che non ci toglieranno mai la libertà».
Prendendo spunto dalla citazione più efficace e rappresentativa di Braveheart, Lapadula ha costruito la sua carriera al contrario: strade accidentate, irte e ricche di richiami, hanno costeggiato la vita dell'uomo Gianluca, tormentato come non mai dal desiderio di raggiungere quel sogno che tutti coltivano in gioventù.
Sorretto da uno spirito non comune, Lapadula si è fatto amare per quel che è stato. A Pescara, in quelle strade che il sottoscritto calpesta con una certa frequenza, il suo mito resta. Poco importa se qualche sporadico decida di sfoderare l'ingenua parata di fischi. Lapadula a Pescara ha dato tutto, e questa gente gliene sarà sempre grata.
La riconoscenza e il rispetto, la si percepisce anche nella piccola Teramo, città meno caotica che il sottoscritto vive quotidianamente, e che di Lapa ha ricordi meravigliosi ed indelebili.
Seppur macchiata da quella vicenda di scommesse capace di vanificare la stagione dei Diavoli e la loro promozione in B (importante chiarire che di queste spiacevoli vicende Gianluca non ha nulla a che vedere), di Lapadula, in questa valle incastonata ai piedi del Gran Sasso, si può solo esser fieri. Dei suoi pomeriggi liberi sulle scale del Duomo, a Piazza Orsini, non si rammenda nessuno. Già, la vita di Lapa non è mai stata di pubblico dominio. Ne prima, ne ora, lui, professionista al 110%, il tempo libero l'ha sempre passato in Famiglia, medicina necessaria per sanare le ferite procurate nelle mille battaglie. Dai gradoni del Bonolis alla Scala di San Siro, per Lapadula non c'è differenza: basta giocare col cuore e la gente ti amerà per questo.
Al Meazza, palcoscenico in cui si sono esibiti alcuni tra più grandi calciatori di ogni tempo, Lapa è stato subissato di applausi dal tifo rossonero. Sin dal primo minuto, dal primo ingresso, dai primi saltelli sulla linea di centrocampo in attesa di entrare.
Il suo pianto nel Derby con l'Inter - Derby in cui i nerazzurri pareggiarono all'ultimo minuto, e Gianluca, appena entrato, non aveva nessuna colpa - resterà manifesto indelebile per chi, un giorno, vorrà descrivere in pochi attimi chi è stato Gianluca Lapadula.
Le sue skills in effetti, - egli stesso ne è consapevole - non sono certo paragonabili ai migliori. Per questo bisogna rimediare con qualcosa che altri non hanno, qualcosa che arriva dritto dal profondo. Di questo, lui che non nasconde limiti ed origini ne parla spesso, quasi fosse un carburante da utilizzare come motivazione, necessario per ricaricarsi e soddisfare la sua inaudita fame.
«Giocai quella partita solo perché tutti gli altri attaccanti erano rotti. L’allenatore prima di mettermi in campo mi dice 'Lapa che devo fare, sono tutti rotti, devi giocare tu'. La mia motivazione era a terra. Nel primo tempo ero in mezzo a due difensori centrali che erano alti il doppio di me. Nell’intervallo vado dal mister e dico: 'Mister non mi cambiare. Lui mi risponde: Ma che dici, non hai toccato una palla'. Io però avevo la sensazione di dover rimanere in campo. Al 70' fanno l’1-0, all’82' prendo palla a centrocampo, salto un uomo, ne salto un altro, tiro una stecca, palo, gol. Primo gol nei professionisti contro la Salernitana in una partita in cui ho giocato perché tutti gli altri erano rotti. Un momento del genere non si può spiegare».
(Tratto da un'intervista in collaborazione tra redbull.com e ultimouomo.com, in cui Lapadula, racconta a suo modo la prima rete tra i professionisti, con il Ravenna).
A Pescara, stavolta non verrà in treno; la distanza è proibitiva, e a malincuore, Gianluca se ne farà una ragione. Ma una volta arrivato, chissà, forse potrebbe stupirsi di nuovo di quel lungomare, di quegli arbusti e di quell'affetto incalcolabile. In fondo, quelle strade in cui il suo nome riecheggia come se il tempo non si fosse mai fermato e lo speaker continuasse ad urlare, Gianluca le conosce fin troppo bene.