Se a qualcuno è capitato di perdersi tra le spiegazioni scientifiche contenute nel manuale sulla comprensione dell'espressione facciale e delle emozioni, di Ekman e Friesen, ieri potrebbe aver avuto la sensazione, che tutto quello che stesse accadendo a Udine fosse già stato scritto e rilegato da qualche parte su uno scaffale.
Già, il Milan, nei volti dei suoi giovani ed ingenui uomini, sta gettando alle ortiche tutto quello che di buono aveva saputo costruire nell'ultimo trimestre dell'anno passato. La cavalcata del Diavolo, che fino ad un mese fa era considerata stupefacente e coraggiosa, ora si sta trasformando in una frettolosa ritirata dalle zone di guerra. Un ritorno verso quel mare calmo e pacifico che il Diavolo ci ha abituati a conoscere nel corso delle ultime avare stagioni.
Quei volti, che solo un mese fa a Doha erano cattivi, determinati e per nulla timorosi, oggi sono specchio di un animo smarrito e di un campo che non rimanda indietro sensazioni e risultati di un tempo.
Il Milan, in quel di Udine ha confermato che il calcio è fatto anche di psiche, soprattutto di psiche; piegato dall'uscita anticipata del suo miglior interprete, la squadra è entrata in un limbo governato dalla sufficienza; un limbo pericoloso, soprattutto se i tuoi punti di riferimento hanno diciassette e diciannove anni ciascuno.
Dare delle colpe a loro, simboli della rinascita e auspicabili bandiere future, non avrebbe alcun senso. Alitare sull'errore che ha spianato la strada al pareggio di Thereau, o sulla decisione arbitrale che è costata il match poco importa.
Sta di fatto che il Milan, ha finito per rattrippirsi con la venuta del ghiaccio e del freddo di gennaio. Forse, il caldo misto a champagne e sabbia made in Doha, ha dato alla testa; forse, - è ben più probabile - quello che stava accadendo fino a quattro settimane fa, era l'acclarato limite di cui spesso sentiamo parlare. Un limite che il Milan ha trovato troppo presto: condizione, fiducia, volontà e risultati. Uno schema di facile lettura, per l'appunto, letto a meraviglia da avversari che non hanno nulla da perdere proprio come l'Udinese.
Difficilmente, questo Milan, con queste forze, potrà oltrepassare quel limite. Certamente, dovrà tornare a quel livello di condizione psico-fisica per riprendersi ciò che ora non ha: l'Europa. L'obiettivo dichiarato dai rossoneri, che han già in bacheca un trofeo, - e questo non va dimenticato - con l'uscita anticipata dalla Tim Cup diviene un piazzamento in Europa League; piazzamento irto di spine causa il rientro poderoso dell'Inter, la qualità di Lazio e Fiorentina, e la favola della Dea.
Al netto della condizione degli avversari, ciò che preoccupa più d'ogni cosa e la condizione del Milan stesso. A Udine, i segnali lanciati dall'undici di Vincenzo Montella hanno aperto interrogativi di ogni genere: dalla condizione fisica in calando, alla scarsa lucidità dei suoi solisti, passando per un atteggiamento tattico rimproverabile.
Le facce non tradiscono le emozioni: Locatelli sbaglia un appoggio semplice quando il Milan sembra in controllo, appena qualche minuto dopo l'uscita di Bonaventura. I rossoneri accusano, e il giovane, che aveva messo la faccia dopo l'errore dello Stadium, stavolta non reagisce.
Con lui, sprofonda un centrocampo volenteroso ma ricchissimo di errori. Kucka e Pasalic sono degli express che macinano chilometri, ma a vuoto. Senza fornire ne stabilità al reparto arretrato, ne inserimenti in fase di proposizione, i due si trovano sempre fuori posizione, costretti a rincorrere i frequenti break di una Udinese spinta dal motore made in City di Seko Fofana. La difesa, allo stesso modo, paga dazio l'ennesimo pomeriggio storto non più catalogabile come "episodio isolato".
Dalla sorprendente difesa di ferro dell'autunno, il Milan è divenuto un colabrodo: facilmente perforabile su palloni scoperti, - quando manca la protezione del centrocampo e uno dei centrali è costretto a rompere la linea - la retroguardia rossonera non può fare affidamento sul solo Paletta, lui sì cattivo, concentrato e voglioso in ogni circostanza.
Mitigata nel giudizio la prestazione di un De Sciglio al rientro, la terza linea non può che attendersi ben altro da Abate e Romagnoli. Il primo, un fattore nel Milan 'montelliano' è chiaramente in riserva d'ossigeno. Non pervenuto in fase d'offesa, inopportuno in quella di difesa, Abate è il chiaro sintomo di un Milan in riserva di energie.
Romagnoli invece, uomo dal talento cristallino, sembra specchiarsi troppo in quelle che sono le sue abilità tecniche e difensive. Anche a Udine, la prova non viene macchiata da particolari errori, ma al tempo stesso, sembra che il buon Alessio giochi con una marcia in meno rispetto alle sue reali ed attuali potenzialità.
Rispedite al mittente le sterili polemiche fatte circolare in settimana, Donnarumma - che dai principali quotidiani Nazionali ha ricevuto ancora insufficienze - ha fatto la sua parte, risultando decisivo ai fini del risultato in almeno tre circostanze.
Il gol subito da De Paul flette verso il basso il giudizio, ma a Gigio - minorenne ancora per un mese - non può esser chiesto di salvare il Milan ogni maledetta domenica.
Ricca di contraddizioni la valutazione del reparto offensivo. Ciò che salta ancora all'occhio è la totale assenza di Carlos Bacca e un gioco che passa unicamente dai piedi del "Cardellino" Suso. Lo spagnolo, crea i presupposti per lo 0-1 di Bonaventura; poi, viene ridimensionato dalla strettissima marcatura dei friulani e da una mossa - rientro sul mancino per andare al cross - che risulta efficace fin quando non vengono presi semplici accorgimenti.
Dall'altra parte invece, Deulofeu conferma di essere un calciatore abile, forte nell'uno contro uno, e dal passo felpato. Nella ripresa, quando il risultato era ancora bloccato sull'1-1, Gerard saggia le doti della retroguardia bianconera, sistematicamente saltata dal paso doble dall'ex Barça.
Eppure, il lavoro degli esterni non è bastato nemmeno a Udine. Le motivazioni della debacle risiedono in ogni fondamentale, certo, anche se il livello di calcio attuale proposto da questo Milan, di colpe ne accorpa diverse.
Contrariamente a quello che era uno spartito "all'italiana", efficace dal punto di vista del risultati; meno sotto il profilo del gioco, il Milan 2.0 (quello nato da Doha in poi) ha cercato di mutare la sua offerta al pubblico. Ciò che risalta maggiormente all'occhio, è senza dubbio il posizionamento della difesa.
Un girone fa, dopo la sconfitta interna sempre con l'Udinese, Montella decise di abbandonare velleità legate ad un gioco spumeggiante e aggressivo. Con una terza linea molto bassa e bloccata, il Milan riusciva ad esaltare le doti di Paletta e Romagnoli, favorendo il lavoro di un play di rottura come è oggi, (all'attuale stato grezzo) Manuel Locatelli. Con questi presupposti, i rossoneri riuscirono a sfruttare in modo magnifico l'intuizione di Montella: Bonaventura sulla linea di centrocampo.
Su di Jack, iniziatore della manovra rossonera, gravitava il pianeta del Milan. Il match di San Siro con la Juventus, ad ottobre, ne è l'emblema più chiaro: baricentro bassissimo, campo e possesso appositamente lasciato nelle mani degli avversari, poi costretti a porgere l'altra guancia per via delle folate rossonere avviate proprio dal Jack di cuori.
Con questo assetto, Suso poteva scendere a catturare il pallone quasi da mezz'ala, ma a destra. Bacca aveva la possibilità di buttarsi in profondità, e Niang, all'epoca ancora in fiducia, svariare in ogni dove, spesso e volentieri andando a ricomporre la coppia nel mezzo con Carlos (proprio come accadeva nel Milan di Mihajlovic, quando i due, in coppia, giocarono benissimo).
La nuova disposizione, con Bonaventura in avanti e un centrocampo decisamente più fisico, ha fatto propendere Montella ad alzare di qualche metro la linea di difesa. Così facendo, Locatelli è stato incaricato di un doppio compito forse troppo pesante per un 19 enne: impostare, - tutti i palloni devono passare da lui se Jack non è più al suo fianco - e interdire. Il Milan non ne ha giovato: la difesa, più vulnerabile per via del suo atteggiamento, oltre che di un centrocampo più di corsa e meno di posizione, ha iniziato a subire reti; allo stesso tempo, il reparto d'attacco ha iniziato a gravitare intorno a Suso, catalizzatore del gioco, ottimo nell'apparecchiare con il cross tagliato verso il centro le stoccate a fari spenti di Bonaventura.
In tutto questo, il corpo estraneo è rappresentato dal centravanti. Privo di un attaccante di manovra - ne Bacca, ne Lapadula incarnano queste caratteristiche - Montella ha cercato di aggirare l'ostacolo, garantendo a Bacca la possibilità di muoversi a piacimento nell'area. Ieri, una volta di più, per via del non movimento e delle non caratteristiche di Bacca, i rossoneri hanno fatto fatica, risultando nulla di fronte a Karnezis.
Il gioco del Diavolo infatti, finisce per appiattirsi, quasi scontrarsi, contro le ben posizionate difese avversarie. Il centravanti non va a cercarsi il pallone sulla trequarti, o se lo fa, il controllo è sempre spalle alla porta, in appoggio a un centrocampista di corsa, incapace di ribaltare l'azione con una giocata.
Vincenzo Montella, che in principio era stato abile ad andare oltre il suo credo tattico per il bene del Milan, dovrà cercare di ovviare a questo problema, ora che la maschera rossonera e caduta, e i volti dei suoi giovani ed ingenui ragazzi sono vulnerabili, fragili, fermi e provati dopo un mezzo anno di sogni e un mese di incubi.