Lontano dai campi per quasi due mesi, ma sempre vicino alla sua squadra, con la maglia della Juventus cucita indissolubilmente addosso, tanto da portarlo a dire che vorrebbe diventare una leggenda per questo club. Leonardo Bonucci, in un'esclusiva intervista raccolta da Repubblica, parla di questo e di tanto altro riguardo il suo mondo calcistico, nonostante il periodo complicato a cui è costretto da qualche tempo a causa del problema rimediato a Genova. La sua assenza è stata fatta dimenticare dalle ottime prestazioni di Rugani ("Daniele rappresenta il futuro, anche per la Nazionale", afferma), ma al rientro le gerarchie si ristabiliranno.
L'occhio al passato però si mantiene, specialmente sui fatti di Doha e sulla pesante sconfitta. "Nessun rimpianto", dice il difensore bianconero riguardo la sua assenza: "Ho festeggiato il Natale a Viterbo, casa mia, con tutta la famiglia".
Difficile sapere se con Bonucci in campo la partita sarebbe stata diversa. Il 19 ama essere decisivo, così come lo sono state tre persone per la sua vita calcistica. La prima, spiega nell'intervista, è Carlo Perrone, ex difensore di Lazio e Ascoli tra le altre: "Mi allenò alla Viterbese. Ero il centravanti e il capitano della squadra Berretti, avevo segnato quattro gol in sette partite, amavo essere decisivo, ma lui mi disse: Leo, devi fare il difensore centrale se ci tieni alla carriera. Cambiai ruolo di malumore, fu la svolta". Dopo una scelta di natura più tecnica, una maggiormente psicologica: "Alberto Ferrarini, che è stato il mio mental coach: mi ha insegnato ad accettare i giudizi negativi senza più deprimermi e perdere la concentrazione".
Il terzo nome è invece quello di Antonio Conte, il primo nel portare Bonucci al centro della difesa a tre, ruolo nel quale si esprime perfettamente: "Mi ha trasformato sul piano tecnico e tattico, e ci ha trasformati tutti alla Juve, prendendo una squadra dal settimo posto per portarla a tre scudetti consecutivi, ha creato un gruppo di giocatori affamati". Due anni fa, però, l'addio. L'estate 2014 ha separato le strade del difensore classe 1987 e del tecnico salentino, anche se i due si sono ritrovati spesso in Nazionale. "Si sarebbe potuto continuare", afferma Bonucci riguardo l'addio fulmineo di Conte alla Juventus: "Lui ha deciso diversamente. Quando l'ho ritrovato in Nazionale gli ho detto, scherzando, che dieci giorni di allenamenti ai suoi ordini sono il tempo perfetto...".
Due caratteri forti, quelli del centrale e dell'allenatore, che spesso risultano - o sono risultati - in contrasto con gran parte delle masse calcistiche. Dal canto suo, Bonucci spiega: "Sono fatto così, forse perché ho avuto una adolescenza solitaria. Indosso un'armatura. Sono una mente tanto pensante e una bocca poco parlante. Lo ammetto, la diffidenza è un mio limite, i miei veri amici sono pochissimi".
Infine, spazio anche ai numeri, ma di maglia. Una vita con il 19 sulle spalle, un numero a cui Leo si mostra legatissimo per più di una ragione e che ritorna spesso anche nel privato, oltre che a livello calcistico:"Un altro lascito di Ferrarini [il mental coach, ndr], appassionato di numerologia e simbolismi. Difficile da spiegare. Le dico soltanto che il numero 19 è presente nella data di nascita di mia moglie e dei miei figli e nel giorno del nostro matrimonio. Ed è il motivo per cui ho voluto firmare il rinnovo del contratto con la Juventus il 19 dicembre". Corsi e ricorsi.