Mare, voglia di mare. Così recita una delle canzoni di “Marassi”, ultimo album dei genovesi Ex-Otago. Chissà se avrà pensato al mare un napoletano d.o.c. come Vincenzo Montella, lui che a Genova ha regalato tanto da calciatore in maglia blucerchiata. Probabilmente no, dato che le mille peripezie del volo Milano-Doha hanno costretto i suoi rossoneri ad un'ulteriore seduta di allenamento al freddo nella nebbia di Milanello, piuttosto che al caldo del Qatar. Sulla scelta di far giocare la supercoppa italiana all'estero si è parlato e si parlerà tanto, con l'eterno duello tra tradizione e marketing, tra orgoglio e globalizzazione. Così come si è indagato abbastanza a fondo sui perché e per come di quel volo mancato dal Milan, bloccato a Londra da un guasto.
Meno, invece, si è parlato del significato che quella coppa potrebbe avere. La modalità è quella della partita secca, solo novanta minuti più eventuali supplementari, destinati ad influenzare diverse settimane, se non l'intera stagione. Come la propagazione delle onde generate da un sasso lanciato in mare, appunto. Fattori, episodi, scene da preparare accuratamente prima, che accadranno durante e che si rifletteranno a lungo sul dopo. Perché difatto, nonostante il trofeo conti più per il palmarés ed il portafoglio che per un reale tornaconto in fatto di obiettivi e risultati stagionali, la situazione attuale del Milan sembra trasformare la trasferta sul Mediterraneo in una specie di turning point importante di questa annata.
In primis, c'è da dire che la squadra che fino a pochi anni fa si fregiava del leggerissimo appellativo di “club più titolato al mondo”, non arricchisce la bacheca da cinque anni: appunto, dalla supercoppa italiana vinta nel derby con l'Inter del 2011. Mai così lunga l'astinenza per Silvio Berlusconi: un presidente che (oggettivamente a ragione) ha sempre sottolineato la mole incredibile di trionfi arrivati sotto la sua gestione. La vittoria servirebbe a risvegliare un po' lo spirito di un tifo demotivato, oltre a rappresentare il miglior passaggio di testimone possibile tra Fininvest e la nuova proprietà, Sino-Europe Sports, pronta a chiudere definitivamente l'accordo di acquisizione entro marzo.
Oltre al calcio degli uffici e delle bacheche, però, per fortuna, c'è quello del campo. Ed ecco che la Supercoppa acquisisce una seconda, importantissima funzione: accumulare esperienza. Negli ultimi anni il Milan ha seguito la linea “giovane ed italiana”, da Donnarumma a Romagnoli, passando per Poli, Locatelli, Bonaventura ed, ultimo in ordine di arrivo, Lapadula. Il rovescio della medaglia, però, è che i rossoneri mancano completamente di esperienza in una gara del genere: mentre dall'altra parte, la Juventus potrà contare su campioni d'Italia, d'Europa e persino del mondo, gli unici titoli dell'undici rossonero vengono da Abate, Kucka, Paletta e Bacca, tutti vincitori del campionato in patria, col colombiano fautore anche di due delle tre Europa League vinte consecutivamente dal Siviglia. Per molti, quindi, quella di venerdì sarà l'occasione per alzare il primo trofeo da professionisti: una gioia che difficilmente si dimentica, ma la cui brama potrebbe spingere nel tranello dell'eccesso di foga o in un ingenuità di troppo.
Altro aspetto da non sottovalutare è quello del ritorno economico: battere gli eterni rivali davanti ad un pubblico che si sta avvicinando al mondo del calcio in questi anni potrebbe fomentare ancora di più un mercato già in continua espansione come quello del Medio Oriente ed in generale del mondo asiatico, in cui il marchio Milan vende e funziona e sul quale la nuova proprietà non ha mai nascosto di voler puntare con forza.
Insomma, vincere è sempre bello, ma alzare un'altra coppa davanti alla Juventus, tra sceicchi e magnati del petrolio, appena prima di partire per le vacanze di natale, potrebbe proiettare una luce rassicurante sul futuro. Perché in mare, una volta salpati, bisogna saper individuare la rotta giusta.