"Felipe Anderson è tornato". Il sentire comune tra i tifosi della Lazio e gli addetti ai lavori è che il numero 10 laziale finalmente è tornato a grandi livelli. E' così. Tuttavia El Pibe è tornato a grandi livelli attraverso un processo di maturazione che lo sta plasmando come un giocatore costante, intelligente, non solo quindi letale negli ultimi 20 metri di campo. "La prima impressione è quella che conta" recita un proverbio popolare. Chiunque pensi a questo giocatore àncora nella propria mente quelle dieci/quindici partite di due anni fa in cui Felipe Anderson si era messo in mostra, con giocate fenomenali ed una capacità di essere decisivo come pochi altri giocatori in circolazione.

Il brasiliano in quell'anno - a suon di gol e assist - portò la Lazio fino al terzo posto. La stagione seguente Felipe - carico di pressioni ed aspettative - non è riuscito a rendere come avrebbe voluto. La prima impressione sembrava essere davvero un impressione, qualcosa di lontano dalla realtà dei fatti. Felipe si abbatteva dopo un dribbling non riuscito, si assentava dalla gara per lunghi tratti, non riusciva - in sostanza - ad essere decisivo come era stato capace di fare. Francobollato dai difensori e dai raddoppi dei centrocampisti, Felipe  è apparso per tutta una stagione la brutta copia di se stesso. Devastante prima, impercettibile dopo: questa la sistesi. Un picco che piano piano si è abbassato in una curva discendente. 

Questa curva, però, sta conoscendo un rialzo, il tasso di incisività di Felipe Anderson è tornato a crescere. In undici partite ha messo a segno un gol, ma sopratutto cinque assist, tanti quanti quelli della passata stagione. Ma i numeri in questo caso spiegano poco, bisognerebbe vederlo in campo Felipe Anderson. Ed in queste undici partite si è visto in campo un Felipe cambiato. Cambiato forse dall'esperienza rivitalizzante delle Olimpidi. E' forse l'oro di Rio che ha ridato forza a questo giocatore, o forse il brasiliano di Brasilia sta semplicemente trovando il giusto equilibrio tra l'essere uno sprinter impressionante ed un giocatore capace di essere importante per la squadra non solo in "zona appariscenza", quella dei gol e delle giocate nello stretto. Infatti la zona che sta scoprendo Felipe è quella cosidetta "dell'ombra" - quella dei raddoppi di marcatura, delle coperture sulla fascia, del sacrificio - sopratutto grazie al lavoro di Simone Inzaghi. 

La zona dell'ombra spesso non si addice ad un numero 10. Le critiche nel vedere Felipe Anderson a tutta fascia in un 3-5-2 si muovono da quest'assunto principale. Che ha tutte le ragioni di esistere, ma ci sta permettendo di percepire un netto cambiamento in Felipe Anderson. Ora Felipe è disposto al sacrificio, capisce quando si può e si deve spingere sull'acceleratore, è migliorato tatticamente: è più uomo squadra, con le doti di un singolarista devastante. Felipe si esalta sicuramente in un tridente, ma ha dimostrato che sa anche adattarsi: la maturazione è anche questa. "Felipe non sa ancora quanto è forte" ha detto qualche giorno fa Simone Inzaghi, che lo sta accompagnando nel suo processo di crescita e maturazione. Un giocatore che sa fare tutto è un top player e Felipe Anderson ha le carte in regola per diventarlo definitivamente. Dribbling e sprint: il 10 laziale non è più solo questo.