"Grazie di cuore a tutte le persone che hanno speso un pensiero per me... Tifosi, colleghi, addetti ai lavori. È stato bello, in un momento così faticoso, ricevere così tanti attestati di stima e affetto. E una carezza a tutti quelli che mi hanno augurato la rottura di tibia e perone, la rottura di tutti i legamenti e la morte... Con l'augurio che la vita riesca a farvi crescere in educazione e rispetto dell'essere umano".
Questo messaggio, scritto da Riccardo Montolivo due giorni dopo l'intervento per la ricostruzione del legamento crociato, già di per sé dovrebbe imporre silenzio ed una grande dose di autocritica da parte di quel tifo malato, sfegatato, esagerato. Eppure, considerando che queste cose continuano ad accadere con regolarità imbarazzante, non si può tacere. Bisogna cambiare modo di guardare le cose, cambiare prospettiva, uscire dai panni del support per indossare, seppur indirettamente, quelli dell'uomo.
L'uomo-Montolivo, che ogni domenica deve fare i conti con le solite battute, i fischi, i cenni di diniego. L'uomo-Montolivo abituato a giocare sempre contro tutti ma che, questa volta, non poteva lasciar correre. Come si potrebbe, infatti, evitare di rispondere a chi augura cose peggiori dell'ugualmente grave rottura del legamento crociato? Ebbene, forse noi tifosi, dovremmo solo tacere e riflettere, riflettere su quanto a volte eccediamo nell'evitabile e schifosissimo (mi si perdoni la parola poco ortodossa) cattivo gusto.