Crescere, nel calcio come nella vita, è uno dei passi più difficili ed importanti. Prendere finalmente consapevolezza di se stessi, però, certe volte non basta e non è sufficiente per imporsi, su un palco grande, ingombrante quanto pesante, come quello della Serie A. Al tavolo delle grandi, quello con le squadre dal nome blasonato e dalla bacheca ricca di trofei, fino a qualche mese fa il Sassuolo poteva soltanto sognare di entrare a farci parte e, soprattutto se sei considerato una provinciale, sempre lo resterai nell'immaginario collettivo di molte persone.
Non basta quindi aver superato le mille e più prove di maturità che nel corso della passata stagione Di Francesco ed i suoi hanno affrontato. Non è ancora molto quanto fatto in questo scorcio di campionato dai tremendi neroverdi. No, ora basta. Se due indizi fanno una prova, stavolta non c'è altro da dire e la sfida di ieri che opponeva la banda emiliana al temibile Genoa di Ivan Juric è forse la definitiva ed ultima testimonianza che una piccola grande sta per nascere. Difficile non vederla così, perché al netto di una rosa di valore tutt'altro che di primo livello, il potere delle idee sale in cattedra, così come quelle del pescarese Di Francesco che siede in panchina, applicando dettami di freschezza e brio ad una squadra che fa della gioventù e della spensieratezza l'arma principale.
Un'arma che spesso si è ritorta contro alle velleità delle squadre nascenti del calcio nostrano, che progressivamente ha fatto implodere su sè stesse meteore che sono rimaste successivamente nell'anonimato più totale, irretitesi davanti all'ultimo banco di prova. Già, quella stessa maturità che ieri, contro i rossoblù di Liguria, ci si attendeva dal Sassuolo. C'era da aspettarselo il calo, soprattutto guardando allo sforzo fisico e mentale profuso non più tardi di tre giorni fa, in Europa League, contro l'Athletic Bilbao. La montagna più alta, scalata in poco più di venti minuti di una ripresa che ha lanciato l'ennesimo messaggio al mondo della dea Eupalla. Il Sassuolo meteora non vuole esserlo, tutt'altro.
Ed allora nell'analisi della sfida che ha portato i neroverdi a conquistare - sul campo - la terza affermazione stagionale in campionato su quattro apparizioni, c'è tutto quel che potrebbe far cadere tutte le accuse di immaturità e di eccessivo entusiasmo per una realtà che è sempre più solida e concreta. Il cinismo e la lucidità, proprio di quelle grandi squadre che stentano a destra e a manca, mancavano ancora dall'indole di una squadra che fisiologicamente è portata a guardare maggiormente all'attacco senza alcun fronzolo, tenendo il piede sempre premuto sull'acceleratore. Vincere senza esprimere il miglior calcio è un merito, soprattutto per chi è ancora in fase di apprendimento: "I ragazzi hanno saputo aspettare. Ci sono partite in cui puoi sempre andarli a prendere in avanti, oggi non era una di queste, per le caratteristiche del Genoa e per le nostre condizioni fisiche. Ho detto loro di spingere il giusto, l'hanno fatto ma rimanendo sempre corti e lucidi".
Non c'è notizia più bella per Di Francesco, che aspettava questo tipo di prestazione da tanto tempo. Tra le parate di Consigli, le chiusure di Acerbi, le accelerazioni di Politano e Defrel - senza dimenticare l'assenza di Berardi - c'è un senso comune di appartenenza ad un processo di maturazione che sembra fisiologicamente giunto al termine. Certo, manca la prova del nove, quella definitiva, della continuità sulle trentotto gare. Poco meno di cinquanta considerando Coppa Italia e la novità dell'Europa League. Ma questo Sassuolo può davvero iniziare ad essere considerato una grande, che a quel tavolo oramai si potrebbe sedere di diritto.