Il campionato italiano ha sempre meno italiani. Non si tratta di una scoperta dell’ultima ora, ma quando in una partita del nostro campionato non gioca nemmeno un italiano, la questione deve essere per forza fatta ri-emergere. Sì, perché in Inter-Udinese di tre giorni fa, per chi non l’avesse già notato, in campo non c'era nessun giocatore italiano: tutti e 22 stranieri! Non che Roma-Napoli di ieri pomeriggio sia andata meglio sotto questo punto di vista: all'Olimpico dal primo minuto c’era in campo solo un italiano per parte, di cui uno (Jorginho) naturalizzato, e certamente non cresciuto in uno dei nostri settori giovanili. Pochi italiani in Serie A e pochi giovani italiani in Serie A: la questione si allarga, è un tutt’uno. Proprio questo il punto: è il caso di rivedere l’organizzazione dei nostri vivai, anch’essi impregnati di stranieri talentuosi, come se gli italiani non fossero più così bravi. Damiano Tommasi, presidente dell'Aic, aveva una proposta: introdurre le seconde squadre in Lega Pro, per far crescere i giovani in un campionato più competitivo di quello Primavera.  

Infatti sono davvero pochi i ragazzi che riescono ad emergere dalla primavera alla prima squadra senza che a questi venga concessa un’occasione in Serie B o in Serie C, pur che si giochi. Perché il campionato Primavera non prepara i ragazzi per le serie maggiori, lo step è un gradino enorme. Passate il paragone: è un po’ come la critica che si fa alla scuola, che non insegna ad affrontare la vita “vera”. Le differenze tra Campionato Primavera e Serie B, per non parlare di Serie A, sono abissali: a livello di fisicità, di ritmi, di organizzazione tattica. Un ragazzo di 18/19 anni, abituato alla Primavera e a giocare sempre con i pari età, a meno che non abbia doti fuori dal comune, impiegherà almeno 2/3 anni ad ambientarsi nel "nuovo” calcio, la sua crescita quindi si rallenta o addirittura viene ostacolata. La proposta di Damiano Tommasi sotto questo punto di vista, era allettante. Tavecchio oggi non è contrario, ma la riforma non è sul tavolo: sarà oggetto della prossima campagna elettorale, in vista del voto tra nove mesi.

Anche se la mentalità è difficile da cambiare e saper attendere senza affrettarsi in giudizi approssimativi è un dono per pochi, questo sembrava essere pure l’anno buono, per vedere qualche giovane italiano giocare in Serie A. Però il piano di Tavecchio, quello delle rose bloccate (25 giocatori, 4 dal vivaio domestico, 4 cresciuti in Italia), non ha dato i frutti sperati. Insieme al progetto dei 200 centri federali territoriali, le rose bloccate non hanno aiutato la Serie A e la Nazionale di Conte. Snocciolando qualche dato, la crisi degli italiani appare pure in crescita. Gli stranieri in Serie A nella stagione 94/95 erano il 15%, in quella 98/99, sopratutto per via della sentenza Bosman, erano il 34%, ed oggi, udite udite, sono quasi il 60%. Le prime dieci squadre hanno schierato italiani per il 37% del tempo, unica eccezione il Sassuolo di Di Francesco, squadra con solo tre stranieri in rosa. 

Statistiche che debbono far riflettere. Necessariamente.