Rottura, definitiva. Silvio Berlusconi riprende il timone, allontana miti consigli e sceglie il ribaltone, a un passo dal tramonto di stagione. Il Milan zoppica, in sesta posizione, osserva la risalita, pericolosa, del Sassuolo. Il baratro, annunciato, è a un passo. L'ultima spallata verso il buco nero dell'anonimato arriva dall'alto. Berlusconi in prima persona si presenta in scena - come da personaggio - e caccia Mihajlovic, per lui il responsabile del fallimento rossonero.
Non basta un'esibizione di tempra alla Scala del Calcio, una prova di carattere al cospetto della Juventus per rinsaldare una panchina da tempo destinata a cadere. Il Milan lotta, corre e suda, mostra quantomeno di seguire il tecnico. Al termine, applausi a chi è in campo, poco per i numeri, molto per il momento. All'apparenza un punto per Miha, nel labirintico viale che conduce alla finale di Tim Cup, oasi di salvezza o inferno senza ritorno.
Invece no, Silvio ribolle, dopo il confronto con Sacchi e Galliani, chiama Brocchi, decisione individuale, monarchica. Brocchi è il tecnico della Primavera, è il prescelto di Berlusconi, non di Sacchi e Galliani, non di certo dell'ambiente, che apprezza Sinisa e vuole il serbo.
Una cena per confermare le rispettive volontà, oggi l'annuncio. Sinisa si alza e saluta, da signore. Lui, tecnico di tempra, fumantino, tecnico vero, se ne va, cacciato dalle lune di un Presidente che ama il bello e al bello tutto piega. Questione di estetica, secondo Silvio. Il Milan deve giocare a calcio, divertendo. Non contano uomini e idee, operazioni e bilancio, il Milan deve vincere, stop.
Mihajlovic lascia, dopo 32 giornate, con 49 punti all'attivo, difficile far di più con una squadra mediocre, creata con un mercato a strappi, milioni senza filo di continuità, esborsi da capogiro, non utili a colmare lacune evidenti. Mihajlovic lascia, convinto di aver fatto il massimo. Difficile dargli torto. Berlusconi è però di altro avviso, decide lui.