Era l'estate del 2014, dopo l'esonero di Petkovic ed il traghettatore Reja alla Lazio arriva Stefano Pioli. Il tecnico emiliano arriva a Roma in punta di piedi, allenare la Lazio è l’occasione per dimostrare il suo valore finalmente su una panchina di prestigio. Il suo arrivo viene accolto con freddezza dall’ambiente: altro colpo di poco blasone, altro colpo misterioso. La Lazio scommette su Pioli, lui cerca subito di entrare nei cuori dei tifosi laziali. Studia la lazialità, la storia della club, fa cantare l’inno ai suoi giocatori. In poche parole crea un gruppo, un corpo unico biancoceleste. Preleva una squadra che arrivava da un nono posto, fuori dalle competizioni europee. L’inizio della sua esperienza romana inizia con la sconfitta a San Siro contro il Milan e con qualche perplessità, si conclude col trionfo di Napoli che porta la Lazio a giocarsi un posto in Champions League. In mezzo un film della stagione pieno di emozioni, di rammarico, di occasioni perse. 

La Lazio 2014/2015 targata Stefano Pioli verrà ricordata per un gioco spumeggiante, per lunghi tratti il migliore di Italia. Tanti gol (71, secondi solo alla Juve) e tanto divertimento. La reinvenzione di Mauri, l'esplosione di Felipe Anderson, la consacrazione di Biglia, il lancio di Cataldi, la scoperta di De Vrij. Anche la scoperta piacevole di un allenatore sempre composto, e determinato, che ha portato a Roma un calcio propositivo, fatto di pressing e di continui inserimenti senza palla. Se non fosse stato per il derby perso dopo la sconfitta nella finale di Coppa Italia contro la Juve, la Lazio avrebbe potuto centrare anche il secondo posto, quindi l’accesso diretto in Champions League. L’amaro in bocca resterà a mister Pioli, soprattutto per non aver vinto quando contava. Il rigore sbagliato da Higuain al San Paolo ha dato ai biancocelesti quello che meritavano, il terzo posto. Anche se quel pallone è come se si fosse trasformato in un boomerang esplosivo: da Napoli in poi la Lazio crollerà definitivamente. Eppure poteva essere il seme da cui far germogliare una grande Lazio. Ma così non è stato.

Il seme, restando nella metafora, si appassisce già in estate. Qualcosa non va per il verso giusto, si percepisce. La Lazio perde malamente col Vicenza nel pre-stagione e si alza il polverone per la fascia da capitano. Dopo i saluti di Mauri, l’ex capitano della Lazio viene reintegrato da Lotito. Pioli dirà che Mauri avrebbe potuto risolvere i problemi in attacco, ma in realtà verrà impiegato poco o nulla. Pioli perde il controllo dello spogliatoio. Il suo fidato Stefan De Vrij (l’unico che lo ha ringraziato sui social) col ginocchio sta male, Pioli sa che servirebbe un sostituto ma lo staff medico fa di tutto per recuperare l’olandese. La Lazio poi si ritroverà a Gennaio senza difensori, e preleverà a parametro zero Milan Bisevac, unico "rinforzo" della sessione. Pioli asseconda delle scelte societarie quantomeno discutibili. Djordjevic e Klose prima del doppio incontro col Leverkusen non danno garanzie: il primo per un problema alla caviglia, il secondo per l’età che avanza e per qualche guaio fisico. La Lazio va a giocarsi il seminato della passata stagione ed il futuro raccolto senza un centravanti, con un De Vrij a mezzo servizio, con una squadra senza innesti. Perché sono arrivati giovani come Milinkovic, Morrison (chi l’ha visto?) e Patric che non possono contribuire sin da subito alla causa.

L’eliminazione col Leverkusen segnerà l’intera stagione. Per non metterci poi la sconfitta in Supercoppa contro la Juve, ennesima occasione persa. Numeri alla mano la Lazio di Pioli ha costruito tanto in due anni: è arrivata in finale di Coppa Italia, si è giocata un preliminare di Champions, una Supercoppa Italiana, un Ottavo di Europa League. Ma i risultati sono pari a zero. Se poi si aggiungono i tre derby persi da Pioli in due anni, lo zero è ricalcato e circoscritto. Questo è un peccato, Pioli lo sa, lo sanno i laziali. La sua Lazio ha divertito, ha ridato entusiasmo all’ambiente, ha portato 55 mila persone allo stadio per un Lazio-Empoli. C’era un gruppo, un destino comune, un’interdipendenza tra i giocatori da fare invidia. Si è passati dall’abbraccio di gruppo in mezzo al San Paolo alla freddezza dei saluti della società ad un allenatore lasciato solo. Parla da sé il comunicato stampa della Lazio: "La S.S. Lazio comunica di aver sollevato dall'incarico il mister Stefano Pioli. La prima squadra viene affidata al mister Simone Inzaghi." Una fredda riga forse già scritta da tempo, nemmeno un grazie, come buona educazione vorrebbe. Dei suoi giocatori nessuno ha parlato, lo ha salutato e ringraziato solo De Vrij, un messaggio da chi non ti aspetti, da chi non vive Formello da parecchi mesi. Pioli abbandona la Lazio lasciato solo. Indubbie le responsabilità del tecnico emiliano durante questa stagione, l'esonero era inevitabile. Tuttavia se ne va Pioli, non se ne vanno i problemi di una Lazio costruita non si sa per cosa. Ora Inzaghi, il quarto ritiro della stagione. Sette partite di passaggio.