Stefano Mauri ha un dono particolare: la resurrezione. “Calcisticamente” parlando, è ovvio. Quasi mai considerato, sempre però essenziale in un modo o nell'altro. In dieci stagioni di Lazio, forse solo nel periodo di Delio Rossi (anni 2005-2009) era considerato un titolare inamovibile. In tutte le altre stagioni, mai Stefano Mauri è partito a settembre come titolare, nell’immaginario di ogni allenatore che abbia avuto, nella testa di ogni tifoso laziale. Dato per “morto” la scorsa stagione, ha conquistato la Lazio a suon di prestazioni e di gol (ben nove). Non solo lo scorso anno, è da almeno quattro/cinque stagioni che si parla di un giocatore in declino, salvo poi essere puntalmente smentiti dal campo: chi avrebbe mai detto che alla Lazio sarebbe ancora servito Stefano Mauri? 

Di lui ci si è accorti sempre troppo poco, negli ultimi tempi il suo nome è stato chiacchierato più per altre vicende che per quanto dimostrava in campo. Leader silenzioso, mai una parola fuori posto, comportamenti sempre da vero professionista. Gli è stata levata la fascia quest’anno per tenere Biglia in biancoceleste, ha accettato senza discussioni. Ha lavorato senza giocare praticamente mai in campionato, cercando di trovare la forma migliore. Perché ad Agosto non ha fatto la preparazione, aveva lasciato la Lazio. Ma poi una chiamata l’ha riportato a casa, lui è tornato sui suoi passi rindossando il biancoceleste. Sapeva che avrebbe faticato nel trovare spazio , quest’anno più di qualsiasi altra volta. Ma ecco che è rinato un’altra volta, dall’alto dei suoi 36 anni. Titolare contro il Genoa a sorpresa, riproposto di nuovo contro l’Hellas ieri.

NUOVO ACQUISTO - Cosa ha portato di “nuovo” in mezzo al campo l’inserimento di Mauri nel tridente? Cose semplici, nulla di esageratamente spettacolare: l’essenzialità della posizione in campo, la capacità di dettare passaggi per i compagni, inserimenti, movimento senza palla. Si parlava di problemi in attacco per la Lazio, Mauri può essere veramente il "nuovo" acquisto di Gennaio. Perché Anderson e Candreva, o Candreva e Keita, sono bravissimi palla al piede, hanno grande tecnica e capacità di dribbling. Ma l’intelligenza calcistica di Mauri non è in loro. Nel 4-3-3 della Lazio, gli esterni, forse, facevano troppo gli esterni, rendendo prevedibile e decisamente troppo orizzontale il palleggio offensivo. “Quando verticalizza la Lazio?”, “Non c’è movimento”, “Tutti statici”: scommetto che almeno una volta chi ha visto la Lazio ultimamente abbia espresso questi pensieri. E Mauri, che nasce terzino, poi viene alzato a centrocampo, poi viene inventato trequartista e addirittura falso nueve, non ha problemi a fare l’esterno di attacco. Lo fa a modo suo, creando sbocchi e dando fosforo ad una manovra che sinora è stata troppo prevedibile. Il suo lavoro rispetto ad un Keita o ad un Anderson è tutt'altro, ma Mauri è capace anche ad adattarsi in un tridente d'attacco, "alla Mauri".



Parliamoci chiaro, però. Contro questo Hellas la Lazio avrebbe vinto anche senza Mauri. Ma sicuramente il numero 6 laziale ha portato in campo qualcosa di diverso, un'alternativa di spessore. Il 5-2 è stato netto, frutto di una differenza tecnica abissale tra le due squadre. L'Hellas si è limitato a tenere compatta ed ordinata la linea difensiva, per il resto in attacco e a centrocampo non hanno mai impensierito i biancocelesti, che con poco sono riusciti ad ottenere il massimo. Prestazione sicuramente sottotono per gli uomini di Del Neri, che bene avevano figurato contro l'Inter, meno all'Olimpico con la Lazio.

Comunque, ritornando su Mauri, Pioli ora ha un'alternativa in più. Il centrocampista italiano ancora non ha i 90 minuti nelle gambe e con lui titolare già si sconta una sostituzione, ma piano piano si sta riprendendo il posto che gli spetta. Giovedì ad Instambul nell'impegno di Europa League contro il Galatasaray, il vecchio capitano della Lazio rincorre la terza maglia da titolare consecutiva. Guarda se, ancora lui, Stefano Mauri, è la soluzione in casa Lazio.