Quando, in settimana, a Paulo Sousa hanno ricordato che agli inizi della sua esperienza sulla panchina della Fiorentina era stato additato come “gobbo”, il portoghese ha risposto con la solita eleganza: “Bisogna sempre dare il tempo di conoscere le persone, i giudizi vanno dati dopo un po’. Ho sempre cercato di essere subito chiaro ed onesto, coerente con le idee di gioco e di vittoria. Anche perché se vinci vieni sempre rispettato di più”.Dopodichè ha aggiunto che per vincere nella tana dei bianconeri saranno necessari testa, cuore, coraggio e ambizione.

Testa, già, come quella di Batistuta nella stagione 1998/99 quando il Re Leone, vide partire il cross di Oliveira dalla sinistra, si liberò di una marcatura approssimativa del povero Tudor e costrinse Peruzzi a raccogliere il pallone in fondo al sacco. 1-0 viola, risultato che sarà anche quello finale e la Fiorentina di Trapattoni può continuare ad inseguire il sogno dello scudetto.

Oppure il cuore, come quello che impedì a Roberto Baggio di calciare un rigore decisivo al suo ritorno all’Artemio Franchi da avversario. Era la stagione 1990/1991 e quella fu la partita della coreografia di tutta la Curva Fiesole impegnata a rappresentare tutte le meraviglie architettoniche di Firenze colorate di viola su sfondo bianco, della rete su punizione di Fuser a cinque minuti dalla fine del primo tempo e del rigore parato a De Agostini da Mareggini. Ma soprattutto fu la partita di un gesto, quello di un giovane che non ha scordato i cinque anni trascorsi in maglia viola e che, mentre va verso gli spogliatoi perché sostituito, raccoglie una sciarpa viola che piove dagli spalti. Se ne andò prima della fine della partita per non rilasciare interviste ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Certi gesti non hanno bisogno di essere spiegati.

Poi c’è il coraggio, quello necessario per rientrare in campo per l’inizio del secondo tempo sotto di due reti, in casa, contro gli odiati rivali che, per giunta, per festeggiare le due reti hanno esultato mimando “la mitraglia” gesto simbolo del tuo numero nove per eccellenza. Il coraggio permette di non perdere la calma e lasciarsi andare, permette di provare a rimontare dapprima con un gol su rigore e poi con una conclusione da fuori area del tuo  più grande talento. Lo stesso coraggio poi ti premia con la rete del sorpasso, il 3-2 firmato da Joaquin imbeccato da Borja Valero che fa esplodere di gioia uno stadio ed un popolo intero che non fa in tempo a finire di godere che deve ricominciare perché Cuadrado è partito in contropiede e serve una palla d’oro a Giuseppe Rossi. Pepito calcia di sinistro e batte Buffon. 4-2 in rimonta con tre reti di Rossi e una di Joaquin. Una partita che nessuno scorderà mai.

Infine l’ambizione. Termine nuovo che si ricollega alle dichiarazioni della vigilia di Paulo Sousa: “Bisogna sempre dare il tempo di conoscere le persone, i giudizi vanno dati dopo un po’”. Perché magari scopri che quella persona, come ama ricordare ogni tanto, ti insegna e ti autorizza a sognare in grande come non facevi da troppo tempo e ti fa riprovare la sensazione di stare lassù. Ma non lassù tra le prime, bensì prima e anche da sola, come è successo ai viola qualche giornata fa. E allora pensi che ci potresti tornare. E magari ci potresti rimanere. Perché sei diventato ambizioso e hai scoperto che niente è impossibile.