Belli, solidi difensivamente (fatta eccezione per la Roncagliata di giornata), votati al sacrificio e cattivi quanto serve. La Fiorentina continua la sua marcia in cima alla classifica e supera con disarmante facilità anche l'ostacolo Sampdoria, fino a ieri sera imbattuta davanti al pubblico di casa.
Oltre al bel gioco, piacevole ma non fondamentale per essere davanti a tutti come dimostrato dall'Inter, l'aspetto da evidenziare è la voglia e lo spirito di sacrificio che traspare negli occhi, per poi trasferirsi nelle gambe, dei giocatori in maglia viola. Quella "cultura del lavoro" basilare per provare a sognare ed essere capace di rialzarsi dopo le battute d'arresto (Torino, Napoli e Roma) che ogni percorso a ostacoli, inevitabilmente, prevede. Perchè le qualità dei singoli sono importanti ma non possono bastare per un cammino lungo 38 giornate. E allora via Joaquin e i suoi "uno contro uno che fanno bene all'anima" e avanti con Bernardeschi e Rebic sulle fasce. Giocatori adattati in un ruolo non loro ma giovani, talentuosi (soprattutto il 10 cresciuto nel vivaio) e disponibili ad apprendere gli insegnamenti del loro tecnico consci del fatto che solo il sacrificio di oggi potrà portare al miglioramento del domani. Basta con gli ingaggi dei vari Aquilani e Gomez, inversamente proporzionali alle loro prestazioni, e largo al Vecino di ritorno dal prestito ad Empoli, al fianco delle sicurezze Badelj e Mati Fernandez. Aggiungendoci il pilastro Borja Valero tornato agli splendori della prima stagione di Montella il gioco è fatto e avanza anche il tempo necessario per far ambientare Mario Suarez, senza bruciarlo buttandolo immediatamente nella mischia. Superfluo poi parlare di Kalinic. Arrivato per pochi milioni di euro in molti pensavano all'ennesimo Tanque Silva. Adesso guai a chi lo tocca. Silenzioso, letale sotto porta e gran corridore su tutto il fronte d'attacco, rappresenta il prototipo dell'attaccante che tutti gli allenatori vorrebbero avere. Già, l'allenatore. Quello è il centro di gravità permanente per dirla alla Battiato. Chiunque abbia tirato due calci ad un pallone in vita sua sa che se una squadra si sacrifica, se alcuni giocatori accettano di giocare in ruoli che non gli appartengono dando comunque il massimo, se altri accettano qualche panchina in più senza fare polemica alcuna è perchè credono nella propria guida tecnica, hanno fiducia in colui che li allena. Ovviamente i risultati aiutano, ma in questo modo è possibile creare un gruppo nel vero senso della parola, una squadra capace di vincere le partite ma, cosa ancor più fondamentale, rialzarsi compatta dopo le sconfitte per ripartire. Questo, a parere mio, è il principale merito di Paulo Sousa, il cui carro adesso è strapieno e continua a riempirsi giornata dopo giornata, vittoria dopo vittoria.
Nelle trasmissioni televisive locali poi fioccano paragoni e glorificazioni: "Calcio totale come quello della grande Olanda", "Bernardeschi come Neskens", dichiarazioni lecite alla Casa del Popolo dopo due litri di vino rosso, meno su una rete a diffusione nazionale, ma poco importa. Anche perchè abbiamo scoperto che 12 giornate sono il tempo necessario per passare dall'essere un "gobbo di m***a" al docente del Paulo Sousa Show. Fatto questo miracolo chissà che il portoghese non voglia alzare l'asticella e puntare ancora più in alto. Papa Francesco, domani all'Artemio Franchi, è avvisato.