Football e cultura: un binomio che spesso ha fatto storcere il naso alla crème intellettuale di ogni tempo e luogo, schiva ad associare al sapere raffinato la popolarità di uno sport. Dove si usano prevalentemente i piedi, peraltro, ossia la parte del corpo più degradata e bassa, non proprio signorile.

Ci sono poi l'eccezioni: menti brillanti e uniche al mondo che sentono verso l'attività fisica (e in particolare verso il calcio) un'attrazione irresistibile, quasi primordiale. All'appello rispondeva il grande Pier Paolo Pasolini, morto 40 anni fa esatti in circostanze ancora misteriose a Ostia, che non nascose mai il suo amore per questo sport.

Ricordare questo intellettuale che si è speso nella letteratura, cinema e teatro con profondo impegno sociale e politico attraverso il calcio potrebbe sembrare paradossale: cosa centra tirare calci a un pallone con uno dei nomi italiani più significativi del XX secolo? Giocava, è vero,ma era solo un passatempo come tanti… E invece no, lo testimoniava lo stesso autore.

Pasolini diceva che il calcio aveva preso il posto del teatro, come forma di spettacolo popolare: niente di più vero, soprattutto oggi che gli stadi sono diventati sempre più “arene” dove i giocatori spesso si affrontano a viso aperto, senza nemmeno interessarsi al pallone. E bisogna tenere conto di quando risale questa affermazione: siamo nel boom economico, ben lontani da quell'altro boom delle paytv.

Nonostante fosse nato a Bologna, il poeta corsaro visse a lungo nel Friuli materno, dove si trasferì durante l'infanzia fino alla fine degli anni '40: nella Casarsa, oggi in provincia di Pordenone, natia della madre Susanna lui stesso giocò a livello dilettantistico, partecipando al campionato locale. E i racconti a proposito descrivono un giocatore tenace, che non giocava tanto per giocare ma puntava dritto alla porta.

La sua fuga a Roma, causata dallo scoppio dello scandalo legato alla sua omosessualità, non lo separò dalla passione sportiva: nelle borgate, insieme ad alcuni amici e conoscenti (tra cui Gianni Morandi e Massimo Ranieri, che conobbe proprio sul rettangolo verde), indossava tacchetti e maglietta, distinguendosi per doti atletiche che tutti gli riconoscevano. E di foto con lui, in giacca, cravata, panciotto e giaccone che palleggia con i ragazzini di periferia se ne trovano diverse su internet.

Oltre al calcio “pratico”, poi, c'era quello “scritto”: in diverse sue opere, infatti, Pasolini raccontava le emozioni che gli suscitava questo sport, associandolo addirittura a una forza primordiale come l'eros: dalle poesie ai romanzi, tirare calci a un pallone non è un semplice svago per quest'uomo, segnato dalla vita per le sue prese di posizione in controtendenza rispetto alla logica dominante dell'epoca.

L'impronta che il casarsese ha lasciato nella Storia è quella di un uomo a 360°, che non ha mai rinunciato al suo essere e all'amore carnale per il calcio. Una lezione più grande di qualsiasi altra sulla sua letteratura o cinematografia, che andrebbe scolpita nelle menti dei ragazzi che sognano di fare i calciatori: lo sport è anche intelletto, sublime acrobazia di tacco che manda il gol la cultura.