L'ultima città italiana, la prima slovena: se si potesse sentitizzare in poche parole Gorizia, questa definizione potrebbe rispecchiarla perfettamente. Chi conosce la Storia, sa di cosa fu teatro questo puntino sulla mappa del Nordest italiano: durante la Grande Guerra, la sua conquista da parte dell'esercito italiano fu l'unico successo ottenuto sul fronte, contro l'Austria-Ungheria, al costo altissimo di vite umane tra militari e civili.
Ma l'orrore più grande arrivò con il fascismo: se, infatti, fino ad allora la “Nizza austriaca”, com'era stata definita, aveva mantenuto la doppia anima italiana e slovena, dopo il 1922 potè soppravvivere solo la prima: ecco allora che Nova Goriča si scisse dal nucleo urbano originario, segnando anche in futuro la divisione tra la nostra Penisola e la Jugoslavia, prima, e Slovenia, poi. Due mondi diversi a pochi passi di distanza tra di loro, ma per decenni rimasti avvolti dall'incomunicabilità.
Va bene, ma cosa centra tutto ciò con il calcio? Centra eccome, perché questi territori sono stati per anni, insieme a tutto il Friuli e a Trieste, una miniera feconda di stelle che hanno brillato nel nostro campionato: da Enzo Bearzot, nato nel 1927 ad Aiello del Friuli (Ud) ed esordiente in Serie B proprio con la Pro Gorizia nel '46; a Dino Zoff, classe '42 di Mariano del Friuli (Go) che esordì in Serie A con l'Udinese nel 1961 a Firenze.
Ma tantissimi altri indossarono la divisa biancoazzurra goriziana, fin dalla sua fondazione nel 1919, anche se la sua presenza tra le “grandi” (in fondo, arrivò fino alla Serie B) si concluse nel 1947/48, anno della sua definitiva retrocessione in Serie C. La storia odierna purtroppo a poco a che vedere con i fasti della prima metà del Novecento, tanto che nel 2003 arrivò addirittura al fallimento e nel 2007 retrocesse addirittura in Promozione. Il peggio fu quando, nella stagione 2013-14, dovette toccare il “fondo” con la Seconda Categoria.
Ok, ma nel frattempo oltre il “muro”? Perché fino all'entrata della Slovenia nell'Unione Europea, ma già prima con il regime titino nell'allora Jugoslavia, la metà slovena di Gorizia continua ad esistere. E in questa cittadina, nel 1947, nasceva la Nogometno Društo (ND) Goriča, compagine destinata a un titolo di primo piano nel campionato nazionale, vincendolo 4 volte. In realtà, la sua origine è legata al paese di Šempeter pri Gorici, in italiano San Pietro di Gorizia, ma nel 1963 si trasferì nella città di confine e, nel 1991, inizò a giocare nella Prima divisione slovena.
Oggi è uno dei club più quotati in patria, con l'ombra della patnership con il Parma: in panchina siede l'italiano Cesare Beggi, ma anche in campo si parla italiano, con il friulano Alessio Codromaz (in prestito dall'Udinese), Lorenzo Pasqualini, Alexander Caputo e altri, provenienti da vari club nostrani.
L'ultima volta che Gorizia e Nova Goriča si sono incontrate è stata il 29 aprile di quest'anno, nella finale di un torneo transfrontaliero UEFA per ragazzi under 15 e vinta dai secondi, ma va da sé che senza muri e divisioni il futuro di queste società poteva essere molto diverso.
Cosa sarebbe successo, infatti, se la follia nazionalista fascista non avesse rotto i legami che univano le due metà della città? Quali successi sarebbero potuti nascere da una sinergia tra i giocatori italiani e quelli sloveni?
Probabilmente sono domande anacronistiche, che oggi però potrebbero trovare risposte concrete. Sperando che il club appena oltre confine non diventi una “colonia” del nostro campionato, dopo che il ciclone Parma ha colpito anche qui e le trattative seguenti della dirigenza slovena per far avviare nuovi progetti con Juventus e Sampdoria.
Per evitare ciò si potrebbe riunire, almeno calcisticamente, la città: un progetto che punti a rinforzare il ruolo della ND Goriča e rifaccia sognare la Pro Gorizia. Forse utopia nell'epoca dei prestiti con diritto di riscatto e speculazioni più importanti delle passioni, ma necessario per far rinascere stelle. Made in Europa, veramente.